La distanza dalle medie macroeconomiche del Vecchio Continente è aumentata di 5 volte rispetto al 2014 secondo il Superindice dell’Istituto Bruno Leoni
L’Italia cresce di nuovo, ma guardando lo scenario da una prospettiva più ampia questo dato positivo non è poi così tranquillizzante. Siamo, infatti, sempre più divergenti dal resto d’Europa. Economicamente parlando. E se, fino a qualche tempo fa, si potevano vedere le traiettorie non virtuose di Francia e Portogallo, per esempio, adesso il Belpaese è quasi solo dietro alla lavagna. Gli fa compagnia l’Austria, che però ha un debito pubblico decisamente meno impegnativo del nostro. «In media l’Unione corre, noi camminiamo e basta», spiega Nicola Rossi, l’economista che con Paolo Belardinelli cura il Superindice dell’Istituto Bruno Leoni. Un termometro, che utilizzando le principali grandezze (Pil, debito, disoccupazione e così via) misura la performance relativa dell’Italia (e di tutti) rispetto alle medie macro economiche del Vecchio Continente.
«Siamo ormai da un ventennio membro dell’area valutaria intorno alla quale si concretizza la parte più significativa dell’interscambio con l’estero spiega Rossi – L’economia italiana respira, in altre parole, allo stesso ritmo dell’economia dell’Eurozona». Quando si muove, ci muoviamo con lei. «In questo senso è comprensibile la soddisfazione con cui la politica italiana ha salutato in queste settimane il ritorno a ritmi apprezzabili di crescita», spiega ancora Rossi. Ma quel che conta è il risultato relativo, «il margine di autonomia dí cui disponiamo per fare meglio degli altri». Ed è lì, nel confronto con l’ambiente e con il sistema di cui facciamo parte, che il Superindice calcola una distanza non positiva. «A pochi mesi dalla conclusione della legislatura, si può affermare che non è andata come molti speravano», afferma Rossi. Tutti gli indicatori che compongono il Superindice raccontano infatti una storia di allontanamento, non di convergenza.
I numeri
Le riforme, realizzate in parte, non hanno centrato l’obiettivo, almeno secondo quanto viene misurato dal termometro dell’Istituto Bruno Leoni. «Nel 2017 l’indice della distanza economica è pari a cinque volte quello osservato nel 2014», spiega l’economista. Ma come viene costruito questo termometro? Nell’indicatore troviamo il tasso di crescita del Pil in termini reali, il tasso di disoccupazione e tre indicatori dello stato delle finanze pubbliche a cui fanno sempre riferimento le regole fiscali europee: il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo e il rapporto tra debito e Pil, oltre al rapporto tra la bilancia dei conti correnti e il Pil. Un paniere di numeri e un meccanismo non difficile da capire anche per i non addetti ai lavori quando si guardano i grafici: se l’Italia fosse la fotocopia della media dell’Unione o dell’euro il valore del Superindice sarebbe zero. L’ultima riflessione di Rossi e Belardinelli riguarda l’andamento storico del Superindice, che è molto volatile. Dal 1997 ad oggi, infatti, si possono individuare almeno tre episodi di convergenza che non sono riusciti a «capitalizzare» l’avvicinamento alle medie europee, visto che sono stati poi seguiti da altrettanti nuovi allontanamento. L’ultimo swing di avvicinamento è andato in onda tra il 2011 e il 2orzt , mentre tra il 2015 e il 2017 i risultati raggiunti sono stati vanificati. «Tre episodi conclude Rossi che nella loro regolarità descrivono un paese ondivago, incapace di fare dell’aggiustamento macroeconomico e finanziario un obiettivo bipartisan, da perseguire a prescindere dagli appuntamenti elettorali o dal colore dei governi».
È facile prevedere che nel 2018-2019 si arrivi ad una manovra correttiva che potrebbe non avere più le caratteristiche di quelle passate, perché anche l’Europa è cambiata. L’occasione di arrivare più forti all’appuntamento è però andata sprecata, secondo gli esperti di Ibl.
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