Intervista a Renato Balduzzi – Dario Fornaro

balduzzi_renato_salute--400x300 (Incontrare l’On. Balduzzi e parlare di Scelta Civica è oggi un tutt’uno. Tanto i drammatici problemi di sopravvivenza politica del movimento-partito (quella parlamentare presenta qualche margine in più in ragione dell’incerta, forse prolungata,  fine legislatura) sovrastano le scommesse che si potrebbero tentare sulle opzioni personali “a breve” del nostro deputato. DF)

Semplificando alquanto – e non ce ne vorrà il Prof. Balduzzi – le alternative che si parano innanzi a SC sembrano piuttosto chiare e semplici: tramonto, con solenne archiviazione, in un fascicolo della seconda decade del secolo, ovvero tramonto con sostanziale trasformazione (il buon gusto  ci vieta di buttarla in ..resurrezione). Tertium non datur, a meno di non immaginare una nuova vincita alla stessa lotteria.

Si, credo anch’io non vi sia una terza soluzione. Forse però l’immagine del tramonto non è la sola che possa rendere conto della vicenda di Scelta Civica e della sua oggi inevitabile trasformazione. Infatti il tramonto, per definizione, arriva al termine di una giornata di sole, nella quale le virtualità del giorno si sono potute esprimere a pieno. Non è andata così. Scelta Civica, per molteplici ragioni, non ha mai oltrepassato lo stadio della promessa di luce, dell’alba interrotta. Ecco perché ho proposto un percorso di verifica della praticabilità del progetto politico che veda, da qui all’autunno, lo svilupparsi di un Laboratorio civico, disseminato su tutto il territorio e capace di rispondere alla domanda di fondo: c’è spazio, politico e culturale, per un progetto “diverso”, che faccia perno su quell’agenda programmatica di riforme e di innovazione a suo tempo messa in campo da Mario Monti e che però non è mai riuscita a interrogarsi sulla propria identità, prima a causa della campagna elettorale del 2013, poi del succedersi frenetico di una dinamica politico-parlamentare per molti aspetti inedita, che ha messo in evidenza la debolezza della nostra base identitaria. È possibile ripartire dall’inizio? Questa la scommessa che ho proposto all’Assemblea nazionale di Scelta Civica e che è stata, non senza difficoltà, approvata.

Non voglio soffermarmi sulla battutissima questione della leadership di Mario Monti, costruita negli anni dal Professore, promossa a tamburo battente da Napolitano in tempi calamitosi, gestita a sprizzi e sprazzi dal Presidente-Senatore, al governo e nel dopo-governo, dissolta infine per incolpevole carenza di  sedimentata vocazione politica-politicante. Gli è che nei lunghi mesi in cui questa leadership montiana  si andava visibilmente, talora dichiaratamente, appannando,  SC non ha coltivato alcun nuovo virgulto di leader (non facile, certo) ripiegandosi sui dissidi interni tra componenti disomogenee già in partenza. Quanto conta in politica la presenza, possibilmente strabordante, di un lider maximo è minestra che ci sorbiamo, per lo più di malagrazia, tutti i giorni…

Certo, la questione della leadership in politica è sempre importante, oggi probabilmente decisiva. Ma ci sono due tipi di leader. Quello per dir così naturale, che si impone come tale per forza interna tumultuosa, sbaragliando i concorrenti per energia propria. Scelta Civica non ha  prodotto questo tipo di leadership e non vedo all’orizzonte alcuno che possa seriamente ambire a questo ruolo. C’è poi una seconda forma di leadership, dove si costruisce il leader attraverso il consenso di un gruppo che decide di affidarsi a qualcuno o a qualcuna, nella persuasione non che sia il leader carismatico, ma più semplicemente il più adatto o la più adatta qui e ora, stipulando cioè un accordo convenzionale che porta ciascuno dei partecipanti al gruppo ad affidarsi a questa persona. Questa seconda modalità potrebbe essere alla portata di Scelta Civica.

Il ragionamento non fa una grinza, ma c’è di più, o di peggio, a congiurare contro eventuali  “riedizioni corrette” di SC. Quest’ultimo è stato infatti – esagerando ma non troppo –  l’ultimo “partito ideologico” entrato in scena nel senso di rifarsi (Agenda Monti) all’idea e all’obiettivo di un “capitalismo ben temperato”, di un liberismo democraticamente ed eticamente sostenibile, grazie anche all’assunzione di un orizzonte solidaristico. A parte fenomeni culturali di ancor più ampia portata anti-ideologica, anni di forzate “larghe intese” governative hanno disperso in ogni dove frammenti di questo tessuto liberista, in felice, camaleontica convivenza con istanze e vincoli opposti. E questa “insalata russa” programmatica, o semplicemente, come usa, pragmatica, sembra incontrare, faute de mieux, il medio gusto del popolo delle urne, abilmente spronato dai leader in passerella. Tutte le componenti centriste, aduse ai “principi non negoziabili” clericali o laici, ne sono state – reali che fossero o ancora in perenne gestazione – squassate dalle fondamenta.

E infatti non credo possibile far nascere (o rinascere) un soggetto politico da un posizionamento sull’arco destra-sinistra-centro e meno che mai con una decisione a tavolino, romano o locale che sia. Un partito, un movimento politico, oggi più di ieri è visione, slancio, speranza, fiducia: certo, esso non è più appartenenza, scelta di vita o fede, come lo è stato sino a non molti anni orsono. Oggi esso passa attraverso il circuito mediatico e dunque attraverso, come si diceva poc’anzi, la leaderizzazione, ma ha comunque bisogno di un’idea-base, di una decisione iniziale forte, di un principio ispiratore. Ecco perché ho proposto a Scelta Civica, o a ciò che resta di essa, quel Laboratorio civico cui accennavo prima: per verificare se esistano le condizioni per una proposta che non disperda quella speranza, davvero civica perché riformatrice e davvero riformatrice perché civica, che quindici mesi fa (non dieci anni fa!) interessò oltre tre milioni di elettori.

Sembra però mancare largamente – onore a chi volesse provarci! – il terreno in cui impiantare, non solo in vitro, una Scelta Civica geneticamente modificata. Onde la diaspora già in atto potrebbe  procedere verso le ultime conseguenze. Abbiamo ecceduto nel semplificare? Vede l’on. Balduzzi altri sentieri, impervi ma praticabili, per riproporre, aggiornandolo, il nucleo propositivo di Scelta Civica?

Se non li vedessi, avrei gettato anch’io la spugna, da tempo. L’importante è non cadere nella naïveté di chi pensa che basti un po’ di entusiasmo per mettere in movimento un soggetto che ha faticato a pensarsi come tale quando aveva un leader riconosciuto e un conforto elettorale, ma neppure sposare il cinismo di chi cerca di accasarsi sotto altre bandiere. Si, ci sono questi altri sentieri, ma essi sono percorribili a certe condizioni. Si, se. E il se principale mi sembra da ricondurre alla volontà di costruire un soggetto plurale. Plurale in senso ideale, dove cioè sensibilità diverse possano trovare un punto di incontro, un soggetto dove, ad esempio, cattolici e laici possano sentirsi tutti a casa propria, e dove vi sia non solo rispetto per la ricerca e la storia di ciascuno, ma interesse per la diversità che esse rappresentano. Il percorso, da me proposto all’Assemblea nazionale, di consolidare i gruppi parlamentari attraverso la confluenza di quanti a suo tempo abbiano condiviso la scommessa di Scelta Civica (o la condividano oggi) può rafforzare questa connotazione. Plurale anche in senso comportamentale, dove alla diversità si affianchi sempre la consapevolezza di essere un soggetto unitario, con regole di lealtà e di correttezza: essere plurali è cosa diversa dall’essere plurimi, che è stata ed è purtroppo ancora l’esperienza di Scelta Civica. Anche dopo l’esito così eloquente delle elezioni del 25 maggio, molti continuano con le vecchie abitudini di pensare solo ai propri percorsi individuali.

Abbiamo accennato al “grande centro”: ipotesi di riaggregazione politica che sino al debutto del Governo Monti, e per qualche mese successivo, pareva quasi storicamente necessitata da una latente, significativa insoddisfazione per il bipolarismo all’italiana che si stava delineando. I convegni di Todi – e altri segnali meno eclatanti – sembravano impegnare in tal senso anche una parte non secondaria del cd. “mondo cattolico”, in singolare collaborazione/competizione con ambienti laico-liberali. Nella seconda parte del mandato Monti questa prospettiva è velocemente degradata in scaramucce identitarie dissolutrici di ogni progetto aggregativo. In un primo momento (vedi elezioni politiche del 2013) Scelta Civica è sembrata un efficace salvagente per il naufragio centrista, ma il salvagente ha subito cominciato a fare acqua. Cose ben note, ma la domanda è questa: il famoso “mondo cattolico” si è squagliato/defilato dalla prospettiva centrista perchéè intervenuto – more solito, verrebbe da dire – un diverso, autorevole indirizzo ecclesiastico, oppure, paradossalmente – ma anche fortunatamente – perché nessun richiamo, nessun contrordine fratelli, è pervenuto d’Oltretevere in tale congiuntura, a motivo dei tempi, e dei Papi, che stavano cambiando con ritmi imprevisti?

Mi sembra che siamo all’inizio di una faticosa ripresa di autonomia da parte dei cattolici che si impegnano in politica, che è al tempo stesso ripresa di un dialogo più intenso con i pastori. Si tratta di un percorso avviato, non senza difficoltà, già prima dell’elezione di Papa Francesco, ma che ha tratto dall’impostazione del nuovo pontificato alimento e linfa rinnovati. Se si vuole un riferimento concreto di questa impostazione, ci si può rifare all’omelia ai parlamentari dello scorso 27 marzo e alla critica di una classe dirigente sacerdotale, intellettuale e politica (dimensioni non distinguibili all’epoca del profeta Geremia) la quale, “chiusa nelle sue idee, nella sua pastorale, nella sua ideologia”, non riesce ad ascoltare la chiamata del Signore e si giustifica attraverso la teologia del dovere che si sostituisce alla teologia della fede: un cuore indurito che non è in grado di ascoltare la voce del Signore, che è anche la voce della nostra umanità più profonda. Ma, e qui sta il punto, per fare ciò servono occhi e orecchi capaci di intendere quella voce, e dunque non corrotti, perché la corruzione è proprio quella chiusura. Questa condizione di apertura, di non corruzione, è la premessa per l’impegno politico dei cattolici oggi.

Infine, un riferimento personale, agli eletti di SC: ai parlamentari come ai più recenti consiglieri regionali. Ai quali, nei discorsi di corridoio, non viene contestata la legittimità della funzione rivestita – ci mancherebbe – ma dei quali viene surrettiziamente rimarcata una sorta di sradicamento politico in atto, di prepensionamento in itinere, tali da rendere evanescente o praticamente ininfluente il lavoro, anche di qualità, da costoro esercitato nelle sedi competenti. Che si fa? Si lotta contro la perfida nomea dell’esodato, irrorata dai furbetti del “mors tua, vita mea”, o si fanno spallucce e si va per la propria strada, breve o meno che sia?

Nel nome di Scelta Civica l’aggettivo non significava soltanto l’assenza, per la stragrande maggioranza dei suoi eletti e dei suoi militanti, di una derivazione partitica e di ceto politico, ma anche una prospettiva e un metodo: il “civico” è il contrario del politico di professione, non ha il problema di restare “nel giro”, perché il suo è un servizio per natura a tempo, rinnovabile se e quando si rinnovino le esigenze e il contesto per cui c’è stata la scelta di “salire in campo”. Anche per me vorrei fosse così

Da: Appunti alessandrini

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