Il Presidente Giorgio Napolitano ha lanciato un monito solenne quanto ineccepibile: chi non paga le tasse non è degno di essere italiano.
Da questo principio di italianità ben potrebbe derivare, per i principi di coerenza ed eguaglianza, il corollario in base al quale chi mal usa il o abusa del denaro pubblico a fini personali non è degno di rappresentare gli italiani, in quanto indegno – a maggior ragione – di essere italiano.Certamente il Capo dello Stato non è nella posizione di annunciare in pubblico, dopo il principio, anche il corollario; certamente sta facendo quanto nelle sue possibilità per richiamare al ravvedimento ed alla conversione la classe politica italiana. Che sente ma non ascolta, annuisce ma non agisce, a quanto pare.
Più che di apparenza, trattasi purtroppo di sconcertante evidenza, visti gli esiti parlamentari dei dibattiti tenutisi sul tema del finanziamento pubblico ai partiti. Il vero problema è che il problema non viene affrontato, ma sviato: si discute di come far arrivare i soldi ai partiti, quando il nodo è l’utilizzo di questi fondi. Anche qui il parallelo con il tema della tasse è d’uopo: si punta sempre il dito sul gettito e non si interviene mai abbastanza sul tema dell’impiego. Siamo infatti tutti, assolutamente, d’accordo sul fatto che le tasse vadano pagate e che chi non le paga dovrebbe andare in galera ed essere privato dello status di italiano.
Ma c’è il secondo tempo del film sul “prelievo tradito”: chi, uomo di stato o di partito, impiega male il (o peggio, abusa a scopo personale del) gettito derivante dalla tassazione, come ogni genere di fondo di origine pubblica, dovrebbe anch’egli essere privato dello status di italiano, e quindi di politico italiano, radiato per sempre dall’albo di coloro che vorrebbero rappresentare gli italiani, in ogni ambito e sede. Si usino quindi stessi pesi e stesse misure per cittadini e politici disonesti.
Si spenda pure del tempo a capire come meglio potrebbero arrivare i soldi ai partiti, ma se ne spenda almeno altrettanto per cercare una soluzione che aiuti a prevenire e punire senza sconti, sia sul piano giuridico che morale e reputazionale, il maluso e l’abuso dei soldi – che mai come in questi tempi sono simili al sangue – della gente. Ma qui emerge l’altro punto dolente: pensiamo a cosa accadrebbe se si chiedesse agli evasori di auto-giudicarsi e di auto-punirsi. Possiamo ben immaginarlo, per fortuna ci sono le leggi dello stato e l’azione della guardia di finanza a cercare di contenere l’emorragia di denaro pubblico ed il conseguente dissanguamento del welfare.
Dissanguamento che origina, non lo si dice mai abbastanza, dall’evasione quanto dal cattivo utilizzo e dallo spreco dei fondi pubblici. Peccato che chi fa le durissime leggi anti-evasione e decide dell’uso dei fondi pubblici, esemplificando sui passaggi e sui ruoli istituzionali, sia poi chiamato ad auto-emanarsi provvedimenti anti-furto sull’utilizzo dei soldi provenienti da contribuenti e da evasori scovati. Sembra incredibile, così semplice, eppure assai vero. Ma, anche qui, il problema sta a monte della vicenda: è ragionevolmente pensabile e socialmente sostenibile che si possa chiedere ai politici di giudicare, prevenire, sanzionare e magari estirpare i mali e le colpe della politica? Siamo onesti, smettiamola di prenderci in giro.
Fuori dai palazzi del potere la gente non arriva a fine mese, la disperazione di ex-lavoratori ed ex-imprenditori sta raggiungendo livelli di criticità umana e sociale impressionanti. Non è davvero possibile, egregi Onorevoli e Senatori, pensare che la gente possa accettare tutto in questo in silenzio.
E’ ora di agire con dignità e responsabilità, di dare un segnale chiaro e vero ai cittadini di come il parlamento ed i politici abbiano davvero intenzione di cambiare registro. Il segnale, Signori Politici, va dato anche e soprattutto agli evasori giustamente braccati dallo Stato, perché non abbiano questi da opporre quale alibi morale e reputazionale il paragone con certa classe politica, che origina ed approva leggi contro l’evasore ma è incapace di darsi comportamenti e regole dignitosi di auto-gestione ed auto-controllo, con particolare riguardo all’uso ed abuso dei soldi degli italiani. Ci affidiamo dunque alla coscienza ed al senso dello Stato di chi vuole rappresentarci, in attesa che di lassù qualcuno comprenda, una volta per sempre e finalmente, che non si può chiedere al colpevole di auto-giudicarsi ed auto-sanzionarsi; non è un fatto politico e nemmeno un limite dei politici, purtroppo; trattasi di logica, se non di natura umana.
E siccome tutti, ma proprio tutti, sono chiamati ad essere degni dell’Italia e dell’essere italiani, si rende necessario trattare i politici infedeli e traditori in modo ancora più duro degli evasori, che almeno si limitano a ritenersi (indegnamente) cittadini, senza volerli – senza vergogna, per chi lo fa rubando e abusando – rappresentare. Si potrebbe cominciare col regolamentare per legge la nascita, la vita e la morte dei partiti, visto che la Costituzione lo permette.
Senza però lasciare che siano i partiti ad avere l’ultima parola su questo primo passo di civiltà. Il giudizio, e la decisione, al popolo sovrano.
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