Il dato relativo alla percentuale degli astenuti alle ultime elezioni regionali della Sicilia è impressionante: hanno votato il 47,4 per cento degli elettori, contro il 66,7 per cento delle precedenti consultazioni del 2008, anche se allora si votò in due giorni.
Se ne potrebbe ricavare l’impressione che il popolo siciliano sia storicamente propenso al non voto, ma non è così: nel 1955, picco massimo, gli elettori furono l’86,9 per cento degli aventi diritto.
Questo risultato ultimo delle astensioni, ossia il 52,6 per cento, rappresenta il valore percentuale più basso dal 1947. Quello che si percepisce con evidenza in Sicilia, ma potrebbe essere una tendenza nazionale, è la profonda sfiducia e disaffezione dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, della politica e dei partiti.
Non si può prescindere però da un dato oggettivo e specifico: la pessima prova amministrativa fornita sia dalla Giunta uscente, presieduta da Raffaele Lombardo e sostenuta anche dal Pd, che da quella precedente, presieduta da Totò Cuffaro dell’Udc. Oltretutto: il 29 marzo 2012 il Gip di Catania, Luigi Barone, ha disposto l’imputazione coatta per Raffaele Lombardo riguardo all’accusa di concorso esterno in associazione di tipo mafioso; Salvatore, per gli amici Totò, Cuffaro è stato invece condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio.
Da gennaio 2011 Cuffaro sta scontando la pena nel carcere romano di Rebibbia L’astensionismo, a mio avviso, è il risultato di due fattori complementari: il primo è rappresentato dai pessimi esempi amministrativi, oltre che morali, forniti dai politici locali; il secondo è rappresentato dalla cattiva coscienza dei partiti tradizionali, che ha condotto gli stessi a sottomettersi senza reagire all’antipolitica ed al qualunquismo, ossia alla rappresentazione tout-court della politica come anticamera della corruzione e dei partiti come mostri a sette teste da sopprimere. I partiti tradizionali sono stati incapaci di dimostrare, nei fatti, che questa rappresentazione, generica e generalizzata, era priva di fondamento.
A conferma di ciò, nessun partito tradizionale della Sicilia può, ad urne chiuse, permettersi di cantare vittoria: il Pd, in quanto singolo partito, è passato dal 18,75 per cento, delle precedenti elezioni regionali del 2008, al 13,60 per cento di quest’anno; ha perso quindi il 5,15 in termini percentuali. Il partito dell’Udc è passato dal 12,2 per cento delle precedenti elezioni regionali del 2008, al 10,70 delle attuali, perdendo quindi l’1,81 per cento dei voti. Il Pdl è passato dal 33,40 per cento delle precedenti elezioni regionali del 2008 al 12,20 per cento delle ultime, perdendo perciò il 21,20 per cento dei voti.
Un tonfo clamoroso quello del Pdl, che paga il prezzo della divisione politica del centro-destra e dei personalismi siciliani. Il Pdl ha puntato su un esponente dell’estrema destra e questa scelta potrebbe non avergli giovato, anche se Storace ha affermato: “Senza Musumeci sarebbe stata tragedia vera”. Il Fli di Fini, l’Idv di Di Pietro e il Sel di Vendola non sono nemmeno riusciti a superare il quorum del 5 per cento necessario per potere eleggere propri rappresentanti nel “Parlamento” siciliano.
L’unico exploit è stato quello del Movimento 5 stelle, che è risultato il primo partito in Sicilia, con il 14,9 per cento dei voti: exploit che è stato fortemente agevolato da una grande crisi di credibilità e di prestigio dei politici tradizionali e sostenuto da una efficacie campagna elettorale costruita sul mito di Garibaldi liberatore, con tanto di “sceneggiate” e di traversate a nuoto dello stretto di Messina.
In Sicilia ha dunque vinto, oltre che l’astensionismo, l’antipolitica ed il qualunquismo del guru Beppe Grillo.