Imprenditori non accontentatevi della Tav

Di Michele Boldrin

Sembra che gli imprenditori italiani comincino ad averne le scatole ricolme sia dell’insana atmosfera d’incertezza che questo governo ha intenzionalmente creato sin da prima della sua formazione, sia degli “atti concreti” (a.k.a.chiacchiere e proclami) messi in atto durante gli ultimi quattro mesi attorno al tutt’ora mitico Def. Me ne rallegro e non retoricamente. Data la gravità della situazione, e le ulteriori nuvole nerastre che i mercati finanziari confermano addensarsi all’orizzonte, credo sia obbligatorio afferrare ognio pportunità emerga che possa aiutare ad invertire in qualche modo la rotta adottata.

La tentazione del too little too late ha le sue motivazioni,però. Non vi è dubbio alcuno che gli imprenditori italiani siano in ritardo, di 40 anni almeno E non vi è dubbio alcuno che una seria autocritica – da parte di quella stessa dirigenza che pochi mesi fa sperava (temo speri ancora …) di ottenere qualcosa dando fiducia ad uno dei due partner governativi in contrapposizione all’altro – sarebbe oltremodo utile. E, finalmente, non vi è dubbio alcuno che, anche in questa istanza, sembra non si voglia prendere il toro per le corna e si sia alla ricerca dell’ennesimo palliativo (i 4 miliardi di tagli richiesti da Boccia e le altre poche richieste “sindacali” associate). Ma è altrettanto vero che, date le circostanze, il mondo imprenditoriale sembra esser rimasto,purtroppo, l’unico gruppo sociale organizzato da cui possa emergere una visione alternativa del futuro d’Italia.

Prendo quindi seriamente l’appello degli industriali che chiedono si dica no alla decrescita e si rimetta al centro dell’azione governativa il ruolo del lavoro,dell’impresa e di coloro che, assieme, producono valore aggiunto. Proposito sacrosanto a cui l’invettiva salviniana, «Ci lasciassero lavorare e vedrannoche l’Italia sarà molto meglio di come l’abbiamo ereditata», non fornisce risposta alcuna visto che, a seguito, il Vice Primo Ministro insiste sulla congruità del Def presentato dal suo governo ai fini della crescita medesima. Come ben sappiamo così non è: il Def,anche dopo i mille rimaneggiamenti e le recenti promesse di tagliuzzare questo o quell’altro sussidio, rimane un coacervo di misure assistenziali e clientelari che aumenteranno il debito pubblico italiano per anni e che si “reggono” supre visioni macroeconomiche e fiscali semplicemente ridicole, se non intenzionalmente falsate. Il Def serve solo per creare ad arte un conflitto con l’Ue per fare campagna elettorale, esattamente come i tweet per auto-attribuirsi i meriti delle operazioni di polizia giudiziaria,danneggiandole. Cerchiamo, quindi, d’essere meno inutili e dannosi del signor Ministro Salvini.

Ho detto prima che gli imprenditori italiani sembrano avere circa quattro decenni di ritardo nel rendersi conto che il paese è in serio declino, e lo ribadisco. A molti questo sembrerà ingiusto perché innumerevoli sono state, dalla fine degli anni ’70 in avanti, le occasioni in cui dal mondo imprenditoriale si son levate proteste per la direzione in cui il paese andava e per i gravi rischi che incorreva. Ultima, durante la stagione 2011-12, fu la crisi del debito pubblico italiano per opera del malgoverno Berlusconi-Tremonti ed il deciso supporto degli ambienti confindustriali al, tardivo ed incompleto, tentativo del governo Monti di aggiustare le cose. Lo stesso era accaduto circa vent’anni prima ed innumerevoli altre volte. Allora, come ora, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era quella della crisi bancaria e finanziaria che oggi, nella vulgata, riassumiamo con la parola “spread”.

Il problema vero, su cui mi auguro vi sia questa volta maniera di far riflettere seriamente gli imprenditori italiani, è che in tutte queste occasioni essi si mobilitarono solo quando la situazione era già compromessa (oggi lo è, ma meno che nel 1992 o nel 2011) ed avendo come obiettivo semplicemente la risoluzione immediata della crisi. Tipicamente la riduzione dello spread ed il ristabilimento di condizioni di funzionamento normale dei mercati finanziari. Sta qui il grave errore che vorrei invitarli a non commettere di nuovo. Perché non è per nulla detto che, se si perde anche questa occasione per far adottare vere riforme strutturali, la Storia ce ne offra un’altra fra pochi anni. Come mi si ricordava oggi, i paesi finiti per lungo tempo in mano a governanti populisti che ne siano usciti bene si contano sulle dita di una mano amputata. La domanda che va fatta alle associazioni imprenditoriali raccolte sotto lo slogan “Sì TAV” è: siete disposti a lavorare nel lungo periodo o cercate solo l’ennesimo tampone/sussidio emergenziale? Se vi danno un pochino di TAV e, con la promessa di posporre alcune spese clientelari, lo spread si abbassa di un 100 punti base, ritornerete a casa felici e contenti o rimarrete invece a chiedere un cambio radicale e strutturale? 

Non è un tema nuovo, anzi. Ci permettemmo di sollevarlo, in modo esplicito, circa sei anni e mezzo fa a Genova, davanti a tutta la Confindustria, ed il governo, di allora. Sei anni e mezzo dopo dobbiamo chiederci se quella lezione sia stata appresa o meno. Perché, di certo, i fatti confermano che accontentarsi di una riduzione dello spread o di un pochino di TAV pensando che, passata la tempestasi possa tornare al tran-tran precedente, non funziona e produce solo maggiore e peggiore declino qualche anno dopo. Imprenditori ed imprenditrici italiani la storia vi sta offrendo l’occasione d’andare oltre l’immediato ed il particolare per offrire al paese una nuova immagine di se ed una nuova prospettiva per i decenni a venire. Afferratela.

Da Linkiesta

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