Tra simboli, partiti e vecchie glorie della politica ciò che manca è proprio una proposta complessa e complessiva: c’è una totale mancanza di idee. Si gioca al ribasso, mentre l’innovazione cambia le nostre vite a ritmi sempre più frenetici
A Marzo ci saranno le elezioni. Sarà la prima volta che gli italiani avranno la possibilità di esprimersi dopo anni di governi tecnici.
Il tempo che la nostra classe politica (sia per ciò che concerne i singoli, sia per ciò che riguarda gli schieramenti partitici) ha avuto per prepararsi nuovamente alla “lotta per il consenso”, tuttavia, non è stato utilizzato non per consolidare visioni di medio periodo, anzi.
Tutti i nostri partiti politici si sono ripresentati agli elettori con le medesime proposte parcellizzate con cui si erano proposti qualche anno fa. I temi sono sempre i soliti: immigrazione, pressione fiscale, aumento dell’occupazione, riduzione del debito pubblico.
Nessuna delle proposte sembra tuttavia essere sviluppata a partire da una visione del Paese, inteso nella sua interezza; tra simboli, partiti e vecchie glorie della politica ciò che manca è proprio una proposta complessa e complessiva.
Sembra che i nostri dirigenti abbiano completamente disimparato il significato di Governo. Governare significa indicare una strada e percorrerla. Significa sì, conoscere gli strumenti, ma significa altrettanto conoscere la rotta e la destinazione.
Oggi la politica manca di questa visione. Ma la colpa non è soltanto dei nostri partiti.
Con la creazione dell’Unione Europea, la vita pubblica ha conosciuto un incremento esponenziale (sic) della burocrazia. L’apparato comunitario è un apparato estremamente complesso, il cui funzionamento ha contribuito senza dubbio a questa parcellizzazione della conoscenza della vita amministrativa e, di conseguenza, ha contribuito a questa iper-specializzazione di ogni figura professionale inserita nel contesto pubblico.
Fin qui, nulla di nuovo: da sempre gli Stati si fondano su questo apparato, tant’è che la “riduzione della burocrazia” è un altro tema evergreen del dibattito pubblico.
Ciò che in questo contesto pesa di più, tuttavia, è la completa assenza di altri strati della nostra società; non importa come li si chiami (luminari, intellettuali, think tank): sono loro che dovrebbero influenzare le politiche e la politica del nostro Paese, e sono proprio loro, invece, ad essere caduti vittima della spirale delle technicalities, perdendo di vista il senso del loro ruolo.
Prendiamo, ad esempio, il recente report redatto dall’High-Level Task Force on Investing in Social Infrastructure in Europe, presieduto da Romano Prodi e Christian Sautter: Boosting Investment in Social Infrastructure in Europe.
Da un’organizzazione dal nome così altisonante, è lecito immaginarsi soluzioni di alto profilo, create per migliorare le condizioni di vita dei cittadini europei, ma, malauguratamente, non è così.
Il report (di circa 116 pagine), è scritto molto bene, inquadra il problema della mancanza di infrastrutture sociali con estrema cura e con altrettanta efficacia, incastonandolo in una serie di misure e contestualizzandolo in una ricca prospettiva di dettagli.
Quello che colpisce, tuttavia, non è, appunto, la mancanza di conoscenza tecnica, ma la mancanza di idee.
Senza entrare in dettagli da addetti ai lavori, il report propone “semplicemente” di:
- Passare da uno scenario di sotto-investimento verso uno “smart capacitating framework” con analisi dei progressi realizzati dagli Stati Membri;
- Promuovere uno schema finanziario legato all’investimento in infrastrutture sociali;
- Creare un contesto investment-friendly;
- Aumentare il ruolo delle banche a livello regionale e nazionale e delle istituzioni
Nulla di sbagliato, per carità. Ma questi suggerimenti sono completamente vuoti. Equivalgono al “bisogna ridurre il debito pubblico attraverso un maggiore investimento degli Stati Membri nella riduzione dei costi della pubblica amministrazione, anche mediante la realizzazione di una promozione di progetti pubblico-privati volti a ridurre i costi pubblici che possono essere ripartiti tra i differenti player economici”.
Sono ovvietà che gli stessi burocrati dell’Unione Europea conoscono alla perfezione e per le quali hanno già avviato una serie di misure (si guardi il programma Europe 2020).
Il ruolo dei report non è quello di riempire gli scaffali della Pubblica Amministrazione. Il ruolo di una Task Force è quello di fornire una visione chiara del fenomeno, promuovere una comprensione degli andamenti che questo dovrà avere nel futuro e trovare delle soluzioni praticabili.
Nulla di grave. È soltanto un’altra goccia di ovvietà in un mare di affermazioni scontate e lapalissiane, ma se non cambiamo la rotta, se non iniziamo a pretendere dalle commissioni, dagli Stati Generali, dalle Task Force un lavoro in grado di influenzare davvero la nostra politica, il ruolo della nostra classe dirigente si fermerà semplicemente a ripetere le cose sulle quali si aspettano converga il consenso dei cittadini, in una spirale al ribasso della qualità della nostra politica e del nostro Paese.
Quello che sfugge, in questo scenario, è che il consenso va creato, non ricercato. Guardiamo alle nostre imprese: se le aziende finissero con il riproporre al mercato soltanto le cose che già piacciono vivremmo in un mondo di prodotti fotocopia, dove l’unica cosa che conta è il prezzo che dovrà essere sempre più basso.
La nostra politica opera in questo modo, ma così facendo non si tiene conto che, invece, ad essere più di successo, sono quei prodotti che innovano e migliorano la vita delle persone. Apple è cresciuta grazie ad un’innovazione, IBM, Alibaba, Amazon, Google, ma anche settori diversi da quello tecnologico come la Bic, le graffette per reggere i documenti, l’azienda che per prima ha prodotto la nuova linguetta di chiusura sicura per tutte le bevande.
Ovunque guardiamo, nella nostra società, c’è una spinta verso l’innovazione come mai prima nella storia. Ovunque, tranne in quel settore dove l’innovazione dovrebbe essere davvero la priorità.
Da: Linkiesta