Il paradosso della crisi economica italiana è rappresentato dal fatto che un esorbitante debito pubblico ha fatto cadere il governo Berlusconi, nonostante i tentativi del superministro Tremonti di contenerlo, attraverso una politica restrittiva; debito pubblico che però, lo stesso governo, non ha contribuito, in modo determinante, a creare.Il ministro Tremonti ha le sue colpe, avendo adottato un politica restrittiva fondata su tagli lineari e non selettivi della spesa pubblica; è indubbio però che il governo Berlusconi ha pagato il conto per una politica di spreco e di sperpero, della quale non porta una responsabilità diretta e determinante.Ciò a differenza di quanto è avvenuto in Grecia: in questo Paese infatti la responsabilità maggiore dell’espansione fuori misura del debito pubblico è stata del governo di centrodestra, che ha preceduto quello di centrosinistra, di Già³rgos Andréas Papandréou.A questo proposito circola addirittura la voce che la Grecia, durante il governo di centrodestra, sia stata ammessa all’Unione europea nonostante che, negli ambienti finanziari internazionali, fosse noto che i suoi Bilanci erano stati “truccati” allo scopo di poter accedere al mercato dell’ Euro, pur non avendo le carte in regola.In Italia spetta invece ai partiti ed ai governi di centro-sinistra la responsabilità principale di aver creato una voragine nei conti pubblici, a causa di innumerevoli sprechi e di una politica da cicale impenitenti; ciò nonostante costoro, con una cera impudenza, pretendono di presentarsi come salvatori della patria.L’aspetto più inquietante è però rappresentato dal fatto che, nella società contemporanea, i poteri finanziari hanno assunto un’enorme influenza, in grado di destabilizzare i Paesi europei, non solo sul piano economico, ma anche su quello politico.Si assiste cioè ad un predominio, quasi assoluto, dell’economia di carta rispetto a quella produttiva, con la differenza che la mano che agisce e determina gli scenari resta spesso del tutto invisibile.In questo contesto si prefigura all’orizzonte una prospettiva non tranquillizzante per l’Italia, caratterizzata da una Europa a due velocità , nella quale non vige il diritto, ma la forza del potere monetario e finanziario. In un contesto di questo tipo saranno i Paesi europei più deboli, in ragione del loro enorme debito pubblico, a pagare il prezzo più alto: la colonizzazione economica.Una cosa è certa: una politica monetaria che miri solo al pareggio dei bilanci pubblici, rischia di penalizzare lo sviluppo e può condurre ad una progressiva recessione.Non si dimentichi infatti, che la drammatica crisi del 1929, che partì dagli Stati Uniti, ma travolse anche l’Europa, si determinò in conseguenza di una politica irresponsabile e non soggetta ad alcun controllo pubblico delle banche; queste ultime, infatti, usarono i soldi dei risparmiatori per investimenti sbagliati che condussero alla chiusura di migliaia di aziende produttive e al crollo dell’economia.E sempre dagli Stati Uniti, nonostante oggi esista la Federal Reserve, che ha preso il via la pesante crisi economica internazionale; crisi che sta interessando il mondo intero e che ha causato il fallimento di importanti banche d’affari, mentre altre sono state salvate, ma solo attraverso colossali iniezioni di denaro pubblico nei loro forzieri.La crisi infatti è iniziata negli USA nel 2006, quando le famiglie americane che avevano sottoscritto mutui subprime, ossia mutui ad alto rischio senza garanzie, cominciarono a non restituire i dollari ricevuti. Il mercato immobiliare così si sgonfio, lasciando nei conti delle banche dei buchi impressionanti; da qui il fallimento, nel 2008, della banca Lehman Brothers.In Italia, per fortuna, esiste una situazione diversa: vi è infatti un organo centrale, la Banca d’Italia, che vigila con serietà sull’operato delle banche; non è però confortante il fatto che importanti ministri che compongono il governo Monti provengano dalle banche: non lo è perché l’Italia ha conosciuto le vicende dei “furbetti del quartierino”, ma anche perché questi ministri provengono da banche che hanno gestito operazioni finanziarie riguardanti importanti infrastrutture pubbliche, a cominciare da quelle dei trasporti, si legga Alitalia. Il conflitto di interessi è dunque dietro l’angolo: sarebbe opportuno quindi che i “tecnici” attuali evitassero di mettersi in ridicolo, affermando che il problema vero è quello di come risarcire questi banchieri per gli importanti compensi ai quali hanno rinunciato.
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