Il nuovo lockdown rischia di radere al suolo l’industria italiana

A novembre 2020 la produzione industriale italiana è diminuita sia su base congiunturale (-1,4%, peggio delle attese) sia in termini tendenziali (-4,2%). Giù l’alimentare (-4%) con il flop di Natale. L’Istat avverte: l’aumento dei contagi frena la ripresa e sale l’incertezza. Prometeia vede la produzione a dicembre a +1,1% su mese, incerti e volatili i primi mesi del 2021

Il nuovo lockdown rischia di radere al suolo l’industria italiana. A novembre 2020 la produzione industriale italiana è diminuita sia su base congiunturale sia in termini tendenziali. L’indice destagionalizzato della produzione industriale, ha segnalato l’Istat, è calato dell’1,4% rispetto a ottobre (+1,4%) contro attese pari a -0,4%. Corretto per gli effetti di calendario, l’indice complessivo è crollato in termini tendenziali del 4,2% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 21 contro i 20 di novembre 2019) da confrontare con il -1,9% (rivisto da -2,1%) del mese precedente.

E se nella media del trimestre settembre-novembre il livello della produzione è cresciuto del 2,1% rispetto al trimestre precedente, nel confronto con febbraio 2020, mese antecedente all’esplosione della crisi pandemica da Covid-19, l’indice destagionalizzato è inferiore del 3,5%. A conti fatti, l’indice destagionalizzato mensile è cresciuto su base congiunturale solo per i beni intermedi (+0,2%); invece, è diminuito per i beni di consumo (-4,0%), l’energia (-3,6%) e i beni strumentali (-0,6%). Flessioni tendenziali hanno caratterizzato tutti i comparti. La riduzione è stata meno pronunciata per i beni intermedi (-0,2%) e i beni strumentali (-2,8%), mentre è risultata più rilevante per i beni di consumo (-9,8%) e l’energia (-5,6%).

Invece, i settori di attività economica che hanno registrato i maggiori incrementi tendenziali sono stati la fabbricazione di apparecchiature elettriche (+5,9%), la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (+2,9%) e la fabbricazione di mezzi di trasporto (+2,3%). Viceversa, le flessioni più ampie si sono viste nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-26,7%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-18,3%) e nella fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati (-8,2%).

In particolare, ha segnalato Coldiretti, è crollata la produzione alimentare: -4% a novembre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente per effetto della minor domanda per le tavole del Natale e Capodanno a causa del lockdown di ristoranti e agriturismi che hanno subito una perdita di circa 750 milioni solo per la cancellazione dei tradizionali pranzi e cenoni. A pesare è stato anche il calo dell’export agroalimentare a causa delle chiusure in tutti i continenti delle attività di ristorazione che hanno coinvolto anche quelle di cucina italiana, le quali rappresentano un importante mercato di sbocco della produzione Made in Italy.

“A novembre la produzione industriale italiana diminuisce sia su base congiunturale sia in termini tendenziali. Tra i principali settori di attività solo i beni intermedi registrano un modesto incremento congiunturale. Rimane, tuttavia, positiva la variazione della media degli ultimi tre mesi rispetto ai precedenti, +2,1%”, ha commentato l’Istat. Mentre nel confronto con febbraio 2020, “mese antecedente all’esplosione della crisi pandemica, l’indice destagionalizzato è inferiore del 3,5%. A livello dei principali raggruppamenti di industria tutti i comparti risultano in diminuzione su base annua, particolarmente accentuata per i beni di consumo”.

Su queste basi a dicembre la produzione industriale italiana dovrebbe registrare un rimbalzo congiunturale dell’1,1%, secondo le stime di Prometeia, che vede incerti e volatili i primi mesi del 2021. Secondo il centro studi di Prometeia, a gennaio la produzione dovrebbe calare dello 0,3% su mese per poi salire dello 0,5% a febbraio. 

Dopo il rimbalzo del pil nel terzo trimestre, si teme che sull’ultima parte del 2020 abbiano pesato le nuove restrizioni imposte dal governo per contenere la seconda ondata di Covid-19. Secondo le ultime stime del governo, il pil nel 2020 dovrebbe avere subìto una contrazione del 9%. Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “l’Italia è nei guai”

Dopo il lieve recupero di ottobre, il nuovo lockdown di novembre “rischia di radere definitivamente al suolo le nostre industrie. Non è tanto l’entità del calo congiunturale a preoccupare, essendo lieve, quanto il fatto che rischia di essere la classica goccia che fa traboccare il vaso, venendo dopo lo tsunami dei mesi passati”. Perché, ha spiegato Dona, “non solo la produzione è ancora inferiore del 3,5% rispetto a febbraio, ultimo mese pre-lockdown, e addirittura del 4,7% su gennaio, ultimo mese pre-pandemia, ma la cosa più allarmante è che è addirittura inferiore del 5% rispetto al rimbalzo di agosto, ossia solo 3 mesi prima”.

E’ lo stesso Istat ad ammettere nella sua nota mensile sull’andamento dell’economia italiana che nelle ultime settimane del 2020 il riacutizzarsi dei contagi ha reso necessarie nuove misure di contenimento che hanno frenato la ripresa economica internazionale. Il lockdown in molti casi è stato parziale, determinando effetti eterogenei tra paesi e settori produttivi. In Italia, gli indicatori congiunturali hanno mostrato un’evoluzione in linea con quella dell’area euro.

A novembre, appunto, la produzione industriale e le vendite al dettaglio hanno segnato una flessione. Segnali positivi, invece, hanno caratterizzato l’andamento del mercato del lavoro, con una ripresa della tendenza all’aumento dell’occupazione a cui si è accompagnata una decisa riduzione della disoccupazione. A fine anno, si è attenuata la fase deflativa dei prezzi al consumo, come effetto di una minor deflazione per i beni energetici e di una moderata ripresa della core inflation. “Le aspettative per i prossimi mesi mantengono un elevato grado di incertezza, ma a dicembre la fiducia di famiglie e imprese ha registrato un miglioramento”, ha concluso l’Istat.

Un quadro reso ancora più cupo dall’ultimo Misery Index (Mic) calcolato da Confcommercio che a novembre si è attestato a 21,2, in aumento di due decimi di punto rispetto a ottobre. Il riacutizzarsi della pandemia, ha sottolineato Confcommercio, e le restrizioni alla mobilità e alle attività produttive hanno prodotto un ampliamento del disagio sociale. Ampliamento che rimane su valori ancora contenuti grazie alle limitazioni ai licenziamenti e al permanere della deflazione.

Ma l’acuirsi della crisi potrebbe portare in primavera a un deciso peggioramento dell’indicatore. Inoltre a novembre il tasso di disoccupazione si è attestato all’8,9%, in diminuzione di sei decimi di punto su ottobre. Il dato riflette una crescita dei livelli occupazionali (+63mila unità), associata a una marcata riduzione del numero di persone in cerca di lavoro (-168mila unità in termini congiunturali). Un fenomeno che sottintende, come già accaduto in primavera, la traslazione di parte dei disoccupati verso l’inattività, viste le difficoltà di svolgere un’attività di ricerca.

Da Milano Finanza

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