La rivoluzione non è lontana, è solo una questione di colore, si tratterà di capire se sarà nera, rossa o bianca. Sarà comunque la società italiana a stabilirlo a questa tornata, una volta tanto, ne siano certi i comandanti Schettino d’oltralpe e nazionali. Da una parte Monti cercadi rendere appealing il lifting dell’articolo 18, dopo l’intervento-manovra a cuore aperto senza anestetico che ha lasciato una profonda ferita, tutta da cicatrizzare, sul petto afflitto dei contribuenti, che hanno pure dovuto sorbirsi la sortita sulla monotonia del posto fisso, butade dalle buone intenzioni e belle speranze tesa a rendere meno amaro l’ennesimo boccone indigesto del governo tecnico, dato in pasto ai soliti noti che, laggiù nella valle di lacrime, continuano a pagare ed incassare il colpo, fiduciosi di incassare prima o dopo anche il frutto degli immani sacrifici richiesti al popolo, sempre più sovrano a parole.
D’altronde l’ironia non è roba da tecnici, se poi ci si mettono anche i media a rendere la cattiva medicina ancor più amara, meglio starne alla larga, come avrà imparato il premier dopo la poco felice esperienza. E mentre il popolo attende speranzoso gli effetti espansivi delle liberalizzazioni della discordia varate a Palazzo Chigi dai tecnici super partes, da un’altra parte di Roma, nelle vicinanze, è lotta all’ultimo scaricabarile ed all’ennesimo fintotontismo fra gli inter-partes travestiti da super-partes dell’ex Margherita, che non sanno più che pesci pigliare di fronte all’imbarazzo personale e politico – che è poi vergogna nazionale – derivante dallo scandalo Lusi, faccendiere figlio dei tempi che dovrà rendere conto alla società italiana, prima che ai suoi compagni di merende, di un fare ignobile che ben rende l’idea della classe politica sopravvissuta alla caccia alle streghe di Mani Pulite.
Ipocrita, immorale, bramosa, egoista, inadeguata, schiava della propria fragilità e miseria, incapace di ammettere a se stessa che così non può più continuare, che un’epoca è finita e non potrà più tornare. Questa – con le dovute eccezioni – la classe politica che forse ci meritiamo, ma forse non fino in fondo.
Meglio sarebbe ammettere l’evidenza, come fecero Craxi e Cossiga, come sta persino facendo Lusi con il suo atto di colpa ed accusa. E’, questo, il meglio che rende bene l’idea del peggio che la politica sta vivendo (e la società subendo) al tramonto della Seconda Repubblica, al capolinea di un ciclo politico che non vorremmo mai più si presentasse come è stato, nella sua pochezza pari solo alla sua perfidia. Così fra segreterie di partito ed aule di tribunali si sfogliano i petali dalla margherita, sotto lo sguardo attento ed attonito dei cittadini che fanno ancora di questa Italia il BelPaese, senza intenzione alcuna di restare a guardare la nave Italia che affonda con i suoi passeggeri-prigionieri, mentre il capitano e i suoi adepti se la danno a gambe levate cercando di far meno rumore possibile.
Faccia quindi in modo, quel briciolo di buona politica che residua sulle grasse tavolate di anni di magna-magna della congrega dei Lusi, di impedire che riaccada domani quel che oggi accade, che è peggio di quel che è accaduto prima che le mani fossero pulite a chi le aveva, forse, non così sporche, vent’anni orsono. E che certamente, a parità di sporcizia, fu più uomo e più politico di quanto non lo siano oggi i nuovi mostri sopravvissuti a Tangentopoli.
Se mancherà la volontà ed il coraggio di sradicare definitivamente la gramigna di casta e privilegi che soffoca il campo di grano della Società Italia, sarà difficile spiegare alla gente – specie a quella che apprende alla TV del ratto di Lusi&C al popolo italiano, dopo una giornata di duro lavoro malpagato e a termine – che la riforma dell’Articolo 18 non rappresenta l’ennesima fregatura rifilata ai soliti noti del villaggio mentre a palazzo, fra facce di bronzo che invano cercano di tardare l’inesorabile esito del “non m’ama” decretato dagli elettori, lentamente la margherita si va sfogliando.
E se gli italiani, illusi e delusi dalla congrega dei Lusi, decideranno di smetterla di capire quel che non si può più comprendere e tollerare, sarà allora la gente a decidere del colore della rivoluzione, sperando per il bene di tutti che quel colore sia il bianco. Ma questa speranza va alimentata per non essere perduta, perché a decidere sia il giudizio e non la rabbia della gente. Lasciando quindi che i tecnici facciano il loro mestiere per il tempo previsto, la classe politica dirigente chiamata a governarci nei prossimi anni dovrà essere rigenerata e rifondata, fra passi indietro o sonore cacciate.
Il Governo dovrà, nel mentre, mettere mano senza indugio alle riforme vere, a partire da quella del mercato del lavoro, per restituire dignità alla produttività, all’innovazione, al fare impresa, ai doveri ed alle responsabilità di imprenditori e lavoratori, per disincentivare gli abusi e premiare l’impegno, il sacrificio ed il merito di chi lavora, per davvero. Perché non appaia, la riforma dell’Articolo 18, la panacea di tutti i mali agli occhi ed al cuore degli italiani, che vivono o sognano (in quanto utopia) il lavoro come un diritto-dovere e non come un abuso-privilegio.
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