Altrove, governo di larghe intese significa fine della propaganda elettorale e attuazione concorde di quelle riforme dolorose che un partito da solo non farebbe per mancanza di forza in Parlamento o per paura del dissenso elettorale.
E così si sperava che avvenisse anche in Italia.
Ognuno dei due schieramenti mandava giù il boccone amaro della forzata convivenza – la destra con i “comunisti”e la sinistra con le immoralità e illegalità di Berlusconi – in cambio di una serie rapida e incisiva di manovre capaci di portarci fuori della recessione, di vincere la battaglia contro l’evasione e la corruzione e di liberarci dai tanti lacci che imbrigliano l’economia e ci condannano da circa quindici anni al declino relativo rispetto ai partner occidentali.
Non è così, almeno non fino ad oggi. Il governo delle riforme si sta rivelando il governo dei rinvii e degli anticipi.
Si sospende la decisione finale circa l’Imu sulla prima casa, si rinvia l’aumento dell’Iva e si tampona il vuoto di gettito con un anticipo sulle future imposte sui redditi delle persone e delle imprese : alla faccia del programma elettorale e delle tante raccomandazioni esterne sul necessario trasferimento dei carichi fiscali dai redditi ai patrimoni e ai consumi ( “dalle persone alla cose”, come invocava l’ex Ministro Tremonti, ormai disperso nelle retrovie della politica). Sul piano formale, è sicuro che l’anticipato pagamento di imposte sia conciliabile con il principio costituzionale della capacità contributiva che guarda alle certezze del passato e del presente e non già alle incerte previsioni sul futuro?
E se domani il contribuente perde il reddito, di cosa campa nella lunga attesa dei rimborsi, se mai avverranno? Guardando alle cifre in gioco, bisogna ammettere che l’impatto è certamente tollerabile.
E addirittura, ragionando sul contenuto economico più che sulla forma giuridica, si può sostenere che il prestito forzoso – perché tale è in buona sostanza un anticipo d’imposta – dovrebbe far parte fisiologicamente dello strumentario della politica economica in tempi di emergenza. Ma la Corte Costituzionale si sta dimostrando ben poco sensibile ai numeri e alle emergenze, meno ancora alle sottigliezze dell’ analisi economica.
Essa pretende che le misure rispettino i principi della Costituzione, così come stanno scritti. Perciò ha bocciato il prelievo straordinario su stipendi e pensioni del settore pubblico, sostenendo che non era tollerabile la discriminazione rispetto ai contribuenti privati di pari reddito; con buona pace dei ragionamenti economici sulla sicurezza del pubblico impiego che determinerebbe , a parità di reddito, una maggiore capacità contributiva dell’impiegato pubblico rispetto all’operatore privato.
E perciò ha appena bocciato la riforma sulle province, introdotta con decreto legge, non ravvisandovi l’urgenza necessaria a giustificare la decretazione. Nessuna meraviglia, quindi, se la Corte, a torto o a ragione, bloccasse anche l’anticipo d’imposta, causando un vuoto per l’erario e un grave danno d’immagine per il governo.
Ma senza scomodare la Corte, basta la sostanza politica dei provvedimenti in esame per dire che così non va. Se si riflette sulla genesi dei guai del nostro Paese, si trova una prolungata propensione al rinvio: i problemi non venivano affrontati e risolti ma scaricati sulle successive generazioni attraverso il debito pubblico che è ora giunto a dimensioni gigantesche e soffocanti.
Ma non è questo il senso anche della manovra in atto?
Sembra un gioco di parole, ma a ben vedere l’anticipo non è altro che un rinvio, è un guadagnare un respiro oggi a spese del futuro. Il contrario, insomma, di ciò di cui l’Italia ha bisogno.
Ammesso e non concesso che sia inevitabile per quadrare i conti qui e subito, non è certo la politica che attendevamo.
Da Verso Nord