Le sliding door di Giorgia Meloni sono intasate da presunti alleati interni ed esteri. I serpenti in seno sono Matteo Salvini e l’«amico» conservatore Mateusz Morawiecki. Diciamo che le serpi lei se l’è cercate e trovate. È lì il suo campo politico, è quello l’esercito irregolare con il quale l’underdog è andata al governo in Italia e spera di conquistare l’Europa. Al leghista «ciao core» non può dirlo, altrimenti perde il governo. Con il polacco un pensiero dovrà farlo prima o poi: diventerà sempre più ingombrante, imbarazzante. Mentre si illude di potere gestire il padano, nonostante le stia facendo vedere i sorci verdi con una serie di siluri di avvertimento. Mai con i socialisti, mai con gli amici del woke-pensiero, con chi vuole costringerci a passare alle auto elettriche e vivere in case green da qui a pochi anni, devastando le tasche degli italiani. Temi sui quali Meloni non solo è ipersensibile, ma d’accordo.
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Il problema è che ci va piano quando si tratta di Ursula von der Leyen che sbarra la strada a Salvini, come gli altri del Partito Popolare. Ma l’avvertimento anti-inciucio del capo del Carroccio è la vera spada di Damocle che pende sulla testa di Giorgia.
A un certo punto della sua vita politica, dopo le europee, dovrà decidere se accodarsi alla riedizione della maggioranza Ursula Popolari-Socialisti-Liberali-Macron. Oppure rimanere all’opposizione senza Commissari e facendo uno sgarbo a von der Leyen, dopo che questa ha cercato di aiutarla in tutti i modi sulla questione migratoria e a Tunisi.
E invece Salvini che fa mentre lei sale sul podio marmoreo dell’Onu per pronunciare un discorso alto e ispirato? Dice che a Bruxelles si riempiono la bocca di chiacchiere, di ipocrite parole di solidarietà mentre non muovono un dito contro l’Austria che boicotta i nostri camionisti. Che quei dieci punti della presidente della Commissione Ue non servono a niente, non fermano gli sbarchi. Che quel furfante di Kais Saied ci prende per i fondelli. Peggio ha fatto il conservatore Morawiecki, che ha definito «disastroso» quel piano in dieci punti portato a Lampedusa.
Ma no, ma che avete capito, è stato il commento di Meloni con i giornalisti sulle strade di New York: «Non siamo in disaccordo, Morawiecki si riferiva al Patto di immigrazione e asilo, che è una parte del piano della presidente Ue». Quello che prevede, in sostanza, anche la distribuzione obbligatoria, pena sanzioni per chi non accoglie migranti, bloccato proprio dai polacchi e dal magiaro Orbán, finito per colpa loro in un binario morto. Meglio buttare la colpa sulla Francia che ha bloccato le frontiere, la Germania che non ricolloca, l’Austria che farà più controlli al Brennero.
Tanti serpenti a sonagli girano attorno alla sua poltrona, mentre Giorgia l’Africana porta il suo Piano Mattei alle Nazioni Unite (concentrate più che altro sul conflitto in Ucraina). Dal freddo piedistallo del Palazzo di vetro ha parlato di confini, identità nazionali, schiavismo, di un Continente pieno di materie energetiche e di giovani che fuggono da povertà e guerre. Sotto la statua di Cristoforo Colombo ha avvertito che l’Italia non può essere il campo profughi dell’Europa.
«Bisogna dichiarare guerra ai trafficanti di uomini», è la propaganda della premier nel giorno del debutto alle Nazioni Unite e per allontanare i sospetti dai presunti amici, attacca i soliti tentativi della sinistra europea di minare il suo lavoro, senza il coraggio di farlo a viso aperto. Ce l’ha con il commissario Josep , il ministro degli Esteri dell’Unione europea, e con quanti sono al lavoro per far saltare il memorandum tra Europa e Tunisia.
Che i socialisti ce l’abbiano con lei è naturale, meno se il fuoco è amico, se a complicare le cose perfino con l’Ucraina sia Varsavia con il blocco delle importazioni del grano. I polacchi sono in piena campagna elettorale, tra un mese si vota, e la lobby dei contadini che vede precipitare il prezzo del grano sta condizionando la campagna elettorale dei Conservstori. Sono arrivati a dire che se il governo venisse destabilizzato, o se Morawiecki dovesse perdere, il sostegno militare all’Ucraina sarebbe a rischio. Il competitor interno Donald Tusk ha definito questo ricatto elettorale una «pugnalata» alle spalle di Kyjiv.
Una brutta storia, questa, per Meloni: il suo principale alleato alle europee, finora il maggiore sostenitore di Volodymyr Zelensky, mostra segni di grande nervosismo su un terreno che è la sua principale polizza assicurativa sullo scenario politico internazionale. Magari saranno i polacchi a diventare ingombranti nei futuri equilibri politici comunitari. E lei dovrà decidere se buttarli a mare. Cosa che invece non potrà fare con Salvini che sta impostando tutta la sua campagna con l’estrema destra.
Nella Lega il più moderato di tutti, Luca Zaia, le rema contro, sempre per la serie serpenti in seno. Il governatore veneto sostiene pubblicamente che i Cpr non serviranno a un fico secco e, numeri alla mano, spiega quanti migranti illegali sono stati rimpatriati finora: pochissimi. La sua metafora è che si vuole svuotare il mare con il secchio. E questo mentre il governo sta battagliando per far accettare alle Regioni un nuovo centro dove tenere fino a diciotto mesi i migranti in attesa di rimpatrio o altro.
Serpenti e coltelli. Ma il paradosso è che alla sinistra o al centrosinistra al governo sarebbe bastata la metà dei casini che ha il centrodestra (e non abbiamo parlato della manovra finanziaria) per precipitare nei sondaggi. E già non va granché bene già così, all’opposizione. E invece, nonostante la questione migratoria sia ritornata in cima alle preoccupazioni degli italiani, la Lega sta pian pianino superando la barriera del dieci per cento, Fratelli d’Italia rimane agganciata al trenta per cento, Forza Italia non precipita. C’è qualcosa che non funziona. Oppure quelli del centrodestra credono davvero che si possa «bonificare» l’Africa, portare lavoro e benessere in poco tempo? Con quali soldi e con quali dittatori? Finora i serpenti evidentemente non mordono.
Da Linkiesta