Il coraggio di cambiare

bn-oh886_crossi_j_20160603103634 Ho letto con interesse l’intervista pubblicata su FL a Deirdre McCloskey e dall’accenno alla sua biografia: devo dire che il coraggio non le manca, anche la scelta del nome (vedi wikipedia) non é da sottovalutare. Per contro, le sue teorie non mi sono sembrate particolarmente interessanti. Si distingue solo per un antisocialismo viscerale, degno dei migliori anni ‘50 americani, quelli della caccia alle streghe e del maccartismo, quelli della paura di con-dividere il potere e di costruire un mondo con meno bombe atomiche e più parità sociale. Soprattutto negli States. Quelli dell’arroccamento del KKK negli stati del sud e del negazionismo della parità dei diritti ai negri. Quelli che culminarono nella crisi di Cuba, con il rischio della guerra atomica per non voler tollerare di avere là i mssili russi al confine, ma di pretendere di averli in Turchia (al confine con la Russia). E tutto finì bene solo per il buonsenso di un contadino (Kruschew).

Ma torniamo alle tesi. Per suffragarle si getta sui dati di crescita dei paesi avanzati e rivendica che due secoli di liberismo economico hanno fatto schizzare del 3000% il reddito disponibile. Un’analisi almeno curiosa, visto che sino a 50 anni fa le colonie europee erano più della metà della popolazione mondiale, per cui il reddito disponibile dovrebbe includere anche questi (le popolazioni coloniali) a meno di non considerarli schiavi, quindi addirittura ricchezza.

Quando poi passa ad analizzare la situazione italiana “rivendica” la crescita come dovuta al liberismo, però curiosamente cita come campioni Adriano Olivetti e Piaggio, ovvero i capitalisti socialmente illuminati. Ma la vera crescita la fecero altri campioni meno illuminati e più determinati, se é vero, e lo é, che la FIAT veniva chiamata la Feroce dai torinesi, e che la Stampa era per loro la Busiarda. Quindi la crescita redistributiva fu figlia di imprenditori (pochissimi) e di dure lotte sindacali. Sull’attuale poi é ancora più decisa: l’Italia (ma poi l’Europa tutta) cresce poco per i troppi lacciuoli burocratici, per il troppo interesse alla questione ambientale e per le scarse apertura ai trattati internazionali liberisti (TTIP), per la poca voglia di libertà di licenziare. Cita poi la corruzione e l’ipertrofismo pubblico. Come si vede, una mistura di bene e male, di idee violente e condivisibili, e che va a chiarire alla fine del suo ragionamento, quando rivendica come nella ricchezza delle nazione una fetta non piccola sia quella dell’istruzione e della sua accessibilità, per poi smentirsi quando “pretende” che le idee sociali siano anti crescita e cita come punta dell’iceberg di questo tipo di mondo (il nostro) papa Francesco perché per lei “ è figlio della cultura del cattolicesimo sociale, quella che vede un mondo a somma zero”. E tutto si regge male, perché la crescita da lei citata é figlia di sfruttamento, ma anche di lotte e di un occhio di riguardo verso chi non nasce “attrezzato” per la competizione. Perché la competizione raramente é decoubertiniana, spesso é fatta di anabolizzanti e di colpi proibiti. Che lei, con tutti i problemi (teorici e pratici), non lo veda o forse, meglio, non lo comunichi, questo lascia perplessi, a meno di non considerare l’età e lo status e la voglia di essere conservatrice solo per conservare. E che questa sia una chiave di lettura, possibile, lo si capisce quando afferma che era, a 16 anni, “socialista alla Joan Baez”, quella pasionaria che fini per essere repubblicana di destra.

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