Da molto tempo gli oppositori del capitalismo, fortemente presenti tra 5 Stelle e sinistra, aspettano la grande crisi che porterà al suo crollo finale e alla nascita di un nuovo mondo di progresso e uguaglianza. Nulla di più che una speranza, che però è stata continuamente delusa.
Con la crisi finanziaria globale del 2008, gli anticapitalisti hanno pensato fosse arrivata la tanto attesa fine del capitalismo, ma in pochi anni il mondo è tornato alle antiche pratiche, complici le manovre lassiste di governi e banche centrali. Ora la crisi da coronavirus è vista come nuova opportunità per un radicale cambiamento del sistema economico e una riorganizzazione della società.
Nella sinistra italiana trovano molta eco le tesi dell’economista francese Thomas Piketty, che chiede la ridistribuzione radicale della ricchezza. In realtà a differenza di quella del 2008, la crisi da coronavirus è esogena al sistema capitalistico, anche se la globalizzazione ne ha favorito la rapida diffusione. Con questo non si può negare che sarà prodromica di forti cambiamenti, che però non andranno nel senso sperato dagli “anticapitalisti”. In primo luogo la globalizzazione proseguirà, certo vi saranno correzioni, ma non si potranno spezzare le catene di produzione globali. Prendiamo i microchip, quelli di fascia alta verranno riportati a casa, ma quelli da prezzo resteranno a Taiwan. I consumatori amano le idee di sinistra, ma pretendono prezzi bassi. La crescita delle grandi aziende, che fatturano più del Pil di uno Stato, proseguirà perché l’economia ha come campo di gioco il mondo e la politica vive dentro i confini statali. E’ uno scontro asimmetrico in cui è difficile il contenimento dei grandi gruppi. La tecnologia è destinata a crescere e con essa inevitabilmente la distruzione di posti di lavoro. Il Covid ha accelerato di almeno cinque anni il processo. E-commerce e lavoro a distanza, non perderanno totalmente il vantaggio acquisito e questo avrà conseguenze permanenti nell’economia dei servizi, della ristorazione, degli alberghi. Inoltre cambierà la tipologia delle professionalità richieste, per cui avremo una forte offerta di lavoratori nei settori meno qualificati e una carenza in quelli innovativi. Il che porterà nei primi ad un aumento della precarietà, abbinata a bassi salari. La crisi da Covid ha portato ad un forte incremento della ricchezza detenuta, grazie anche alle politiche monetarie espansive, che hanno fatto lievitare il valore di quasi tutti gli asset finanziari. Il fenomeno non poteva che accentuare la tendenza in atto, cioè quella della concentrazione della ricchezza, fenomeno che aumenterà una volta che verranno meno i cospicui aiuti statali alle persone e alle aziende. Ora è facile dire: bisogna dare a tutti, non lasciare indietro nessuno, ma è evidente che le politiche del debito sono destinate a finire e come corollario si porteranno dietro un aumento dell’inflazione che ovviamente colpirà i ceti più deboli. In sintesi, non solo il capitalismo non finirà, ma rischia di diventare ancora più duro, anche grazie allo smarrimento e alla debolezza di una classe dirigente che non riesce a difenderlo come il miglior sistema di crescita e di uscita dalla povertà che conosciamo. Solo partendo da questo lo si potrà riformare e adattare, consapevoli che solo la ricchezza prodotta può essere distribuita e che ciò è necessario per il capitalismo stesso. La fine dei consumatori segnerebbe la fine stessa del capitalismo moderno. I sogni muoiono spesso all’alba, come è destinata a morire l’idea che un mondo migliore si possa costruire sulla distruzione del capitalismo. Quello sarebbe invece il modo migliore per far vincere la povertà.
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