Scrivono i giornali che la premier Meloni, ad una riunione del suo partito, ha declamato la frase di Giuseppe Garibaldi: “qui si fa l’Italia o si muore”. Ora probabilmente non farà l’Italia, ma sicuramente non morirà. Dopo questo breve periodo di governo, ancora non si sa se l’Italia ha trovato una statista, di certo il centro destra ha trovato, dopo Berlusconi, il suo leader. Del resto per rifare l’Italia occorrerebbero i garibaldini e Salvini non sembra Bixio e Berlusconi non è Crispi, anzi essendo in declino saranno sempre di più un freno, come lo furono i piemontesi. Berlusconi perché rimpiange le glorie passate e Salvini perché concluderà la sua carriera senza raggiungere il podio più alto. In attesa di sapere dove Giorgia Garibaldi condurrà l’Italia, possiamo osservare che ha costruito un partito nazionale ben inserito nel gruppo europeo dei conservatori, di cui peraltro lei è presidente, fortemente legato agli Usa e pure alle gerarchie vaticane, a differenza dei suoi alleati che in quegli ambienti sono guardati con sospetto. Questo le consente di dar voce alla cultura conservatrice, mentre i suoi alleati una cultura vera non l’hanno mai avuta. Anche se a onor del vero il coro presenta molte stonature, da La Russa a Sangiuliano, per finire alla Crudelia de Mon Santanchè. Del resto fino al Volturno un certo disordine regnò anche tra le file garibaldine e molte vittorie furono dovute alla scarsa opposizione delle forze borboniche. Per ora la Meloni è stata fortunata: i suoi oppositori passano il tempo a litigare fra di loro, ma pure Napoleone prediligeva marescialli fortunati. Il suo vero problema è la realtà, è salita al governo in un momento non semplice, guerra in Ucraina, alta inflazione dovuta a petrolio e gas, aumento degli interessi sul debito e Pnrr da realizzare, ma soprattutto casse vuote: tutti gli scostamenti di bilancio possibili sono stati utilizzati da Conte e da Draghi per le emergenze covid e guerra. In questi momenti bisogna lavorare e parlare il giusto, cosa che la premier cerca di fare, pur nella cacofonia di voci del suo campo, dove incompetenze ed euforia da presa del Palazzo hanno contagiato molti suoi ministri. Per ora la riconferma dei direttori delle agenzie delle Entrate e del Demanio, con la sola sostituzione di quello delle Dogane, testimoniano intelligenza oltre che prudenza, anche nel delicato tema delle nomine dove deve individuare uomini fidati ma con sufficiente competenza, cercando di non rompere con il Deep State che non sarà potente come quello americano, ma può frenare e molto l’azione del governo. Con così tante e urgenti pendenze legate a Pnrr, Ilva, Ita, Telecom, sarebbe opportuno accantonare faraonici disegni di riforma costituzionale per portare a casa risultati che potrebbero se realizzati evitare all’Italia una forte recessione, accrescendone nel contempo la credibilità internazionale e la stabilità sui mercati finanziari. Anche il lavoro di Tajani con la Turchia, l’Egitto e i paesi del nord Africa, va nella giusta direzione di regolare i flussi migratori, rientrare nel gioco libico e fare dell’Italia l’Hub del metano, ci vorrà tempo, ma ogni marcia inizia con un primo passo. Gli italiani guarderanno alle cose che fa, non tanto all’inevitabile chiacchiericcio dei partiti, insomma ascoltare tutti e tirare diritto. Anche in Europa da un lato bisogna spingere per la costituzione di un fondo comune per la transizione energetica e contemporaneamente rallentare una transizione troppo veloce, che potrebbe essere retta solo dai piccoli paesi del nord e che se troppo frettolosa vale da sola tre punti di inflazione, come anche la Germania sta comprendendo. Che la Meloni, per fortuna, per merito o per entrambe, faccia bene è in primo luogo interesse degli italiani, se poi ne deriverà un consolidamento della sua forza, meglio per lei.
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