Idealisti da salotto ed eroi dimenticati

Nel capolavoro musicale e letterario firmato George Brassens e reinterpretato da Fabrizio De Andre’ nel 1972 “Morire per delle idee”, si faceva la satira ai paladini delle idee scomode, pronti a morire, sì, “ma di morte lenta”. Se si presta attenzione alla scena politca italiana, sembra di guardare un film in slow motion. C’e’ chi si lega e s’incatena, chi va in sciopero della fame, chi si dice “pronto a tutto” per difendere i diritti di questa o di quell’altra casta, ma poi sono tutti pronti a rientrare nei loro appartamenti ovattati della Roma capitale delle caste.

Il cantautore genovese cantava:

“Ora se c’è una cosa amara, desolante è quella di capire all’ultimo momento che l’idea giusta era un’altra, un altro movimento.”

Mi sembra di sentire la storia di certi ambientalisti, pronti a tutto 20 anni fa per difendere i treni come forma di trasporto “verde”, ed ora tirare bombe Molotov alla polizia che difende le loro vecchie idee in Val di Susa. Fino alla prossima giravolta magari. Magari potremmo guardare con rispetto al Giappone, che dopo il disastro nucleare di pochi mesi fa, ha già chiarito che il nucleare resta e resterà la risorsa energetica più importante. Ed il popolo, in pieno stile giapponese, si e’ inchinato alla decisione. Fosse stato in Italia, avremmo probabilmente assistito all’ennesima parata di paladini “Anti-inquinamento ed Anti-Putin-amico-di-Berlusconi”, scendere in piazza a sostenere la Russia come nostro maggiore fornitore di energia inquinante e a ribadire il no all’energia pulita nucleare made in Italy.

La difesa delle idee del resto ha pesi diversi, e lo dimostrano premi Nobel come Obama, Al Gore e Jimmy Carter – tutti e tre per la Pace – che sorridono nelle foto e ne hanno ben donde. Infatti in Myanmar, Aung San Suu Kyi si e’ dovuta sorbire 3 anni in prigione per aggiudicarsi il medesimo premio. Un Nobel ricevuto da detenuta, mentre i tre democrats lo ricevettero comodamente seduti alla Casa Bianca. Poi per loro fu tutto rose e fiori nonostante la figuraccia di Carter con i 52 ostaggi all’Ambasciata USA di Tehran, i gelidi risultati della conferenza sul Riscaldamento Globale “caldamente” sponsorizzata da Al Gore ed il fiasco dello “stimulus” da un trilione di dollari firmato Obama. La Aung invece si e’ dovuta sorbire altri 18 anni di detenzione.

Destino tremendo, quello di essere insigniti del Premio Nobel per la Pace e non poterlo ritirare. Destino toccato per primo nel 1935 a Carl von Ossietzky, il giornalista tedesco che fu tra i primi ad opporsi ad Hitler. Per lui non ci fu più libertà, poichè nel 1938 morì in ospedale sotto custodia nazista. Ma anche nel recente 2010 il giornalista cinese Liu Xiaobo si e’ aggiunto alla lista dei Premi Nobel assegnati durante la detenzione.

E’ un mondo difficile là fuori, fuori dai palazzi del potere, dalla Casa Bianca e dagli attici a Roma. Un mondo dove talvolta la lotta per la libertà non finisce con un Premio, ma con un funerale. Ci fosse ancora De Andre’, forse guarderebbe i salotti delle democrazie occidentali e canterebbe:

“Basta con le garrote in nome della pace moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, ma di morte lenta.”

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.