Il successo dell’immunizzazione di massa dipende anche dal farmaco dell’azienda britannica, dalla quale si attendono oltre 40 milioni di dosi. Ma gli studi sono in ritardo e manca ancora l’approvazione dell’Ema. Intanto al Senato, il virologo Carlo Perno ha messo in guardia sulla sua efficacia (al 70% rispetto al 95% di Pfizer)
La buona notizia è che l’Italia, con oltre 400mila dosi somministrate, è il primo Paese europeo per numero di vaccinazioni ogni 100 abitanti, secondo per numero assoluto dopo la Germania. La cattiva notizia è che questo primato potrebbe durare poco. Perché, nonostante il via libera del vaccino di Moderna anche da parte dell’Aifa, il successo del piano vaccinale italiano è in realtà è legato a un’altra azienda: AstraZeneca. I cui studi, dopo una fase travagliata di sperimentazione, sono in ritardo rispetto alla tabella di marcia. E né l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) né la Food and Drug Administration americana prevedono di approvarne il vaccino a breve.
Un grosso problema per l’Italia e l’Ue, che hanno fatto molto affidamento sul vaccino di AstraZeneca sia perché è quello più economico e più facile da conservare, sia perché è stato stato sviluppato e prodotto interamente in Europa.
Se si considerano solo Pfizer e Moderna, fino al 31 marzo in Italia arriveranno poco più di 9 milioni di dosi, che servirebbero a vaccinare circa 4,5 milioni di persone circa. Molto poche, insomma. Senza contare le difficoltà di Pfizer a distribuire entro i tempi concordati anche le dosi che aveva programmato.
Tutta la prima parte della campagna vaccinale italiana poggia in effetti proprio su AstraZeneca: l’Italia ha opzionato ben 40,38 milioni di dosi del vaccino italo-inglese di Pomezia e Oxford, di cui oltre 16 milioni previste già nel primo trimestre dell’anno e 24,2 milioni nel secondo. Senza l’arrivo di queste fiale, la vaccinazione italiana di massa è a rischio. Nel primo trimestre, altre 2 milioni di dosi dovrebbero arrivare da Curevac, ma anche qui ancora non ci sono dati sufficienti per l’approvazione.
Non è un caso, allora, che il ministro della Salute italiano Roberto Speranza, insieme all’omologo francese, avrebbe fatto pressioni sull’Ema perché autorizzi il prima possibile il vaccino AstraZeneca. «Noi non produciamo vaccini, facciamo il tifo perché questi vaccini siano nelle disponibilità il più presto possibile», ha detto ieri il commissario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri. Dopo l’approvazione di Moderna, «aspettiamo con ansia gli altri».
Finora l’ok al vaccino di Oxford è arrivato solo dalla Gran Bretagna (ormai fuori dall’Ue), che ha cominciato a inocularlo dal 4 gennaio, e dall’India. Il via libera in Europa dovrebbe arrivare entro fine gennaio, in modo da accelerare la campagna vaccinale da febbraio in poi.
Ma ieri, durante le audizioni sui vaccini anti-Covid in Commissione Igiene e Sanità del Senato, il virologo Carlo Federico Perno, direttore del dipartimento di microbiologia all’Ospedale Bambino Gesù, ha messo in guardia sui ritardi di AstraZeneca. «Il problema», ha spiegato Perno, «è che AstraZeneca aveva una efficacia teorica del 90%, ma quando siamo andati nello studio clinico l’efficacia è scesa al 70%». Questo vuol dire che tra i vaccinati con le fiale Pfizer, che ha un’efficacia del 95%, potrebbe contagiarsi uno su venti. Nel caso di Astrazeneca, tre su dieci. Se l’efficacia clinica del vaccino di Astrazeneca resta questa, il rischio è che potrebbero esserci quindi vaccinati «di serie A e di serie B», ha spiegato il virologo.
«Abbiamo bisogno ancora di studiare e capire», ha precisato davanti ai senatori. «Non si possono distribuire vaccini con efficacia diversa. Fare le cose di corsa può essere pericoloso». Anche perché, normalmente, il paziente non può scegliere il vaccino in base alla casa farmaceutica di produzione. «Ma se l’efficacia dovesse essere diversa, si porrebbero quesiti etici», ha detto Perno.
Il percorso di sperimentazione del vaccino a vettore virale di AstraZeneca è stato rallentato da alcuni errori procedurali, a partire dall’inoculazione della dose dimezzata a un campione sotto i 55 anni. La mezza dose però è risultata più efficace, al 90%, rispetto a quella intera, ferma al 62%. Da qui la necessità di altri studi.
Arcuri, nell’ultimo incontro con le regioni, ha annunciato la tabella di marcia della campagna di vaccinazione: entro fine marzo gli italiani vaccinati saranno 5,9 milioni, 13,7 ad aprile e 21,5 milioni a maggio. L’obiettivo, ha detto il commissario, «è vaccinare tutti gli italiani che lo vorranno entro l’autunno». Ma la strada per rispettare questi traguardi ad oggi è tutta in salita.
Se si dovessero allungare ancora i tempi per l’approvazione del vaccino di AstraZeneca oltre fine gennaio, l’altro approvvigionamento corposo è quello atteso da Johnson&Johnson, l’unico vaccino che non ha bisogno del richiamo. Ma, anche in questo caso, gli studi sono in ritardo e non si vede una approvazione imminente all’orizzonte. Eppure dalla multinazionale americana sono attese in Italia 14,8 milioni di dosi nel secondo trimestre, 32,3 milioni nel terzo e 6,73 nel quarto.
L’altra grossa fornitura, pari a quella di Astrazeneca, secondo il piano di Speranza dovrebbe arrivare da Sanofi a partire da inizio 2022. Ma al momento anche qui la sperimentazione è molto indietro. E soprattutto, come ha ricordato Perno, questo vaccino ha mostrato un’efficacia più bassa sugli over 50. Ovvero quegli anziani che sono in cima alla scala delle priorità della campagna italiana.
Da Linkiesta
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