I partiti strumenti superati – Stefano Allievi

download La polemica sul tesseramento del Pd sta facendo capire alcune dinamiche relative alla trasformazione dei partiti: di tutti i partiti. Il calo della militanza e del’iscrizione ai partiti è presente in tutto l’occidente. Riguarda la modalità del fare politica, l’incisività dei partiti stessi, e la loro vita intera. Quanto al Pd, il processo è in atto da tempo. Nel 2009 gli iscritti dichiarati risultavano 831 mila, nel 2010 620 mila: un quarto in meno già allora, in un solo anno. Poi la discesa è continuata, in maniera più incisiva: fino ai 100 mila di cui si parla oggi (anche se i dati sono discussi). Inoltre gli iscritti invecchiano, anagraficamente.  Segno che c’è un problema di attrattiva rispetto all’elettorato giovanile.

Non solo perché i partiti sono giudicati in interessanti in sé: ma perché la modalità di formazione delle opinioni, e anche di aggregazione e di mobilitazione, passano semplicemente altrove. Internet, ma anche i movimenti sociali non partitici, non sono arrivati invano. Il mondo è cambiato, si vive e lavora e usa il tempo in maniera diversa, ma le riunioni di partito sono le stesse di mezzo secolo fa. Per forza non ci si va più, se non lo so considera un pedaggio da pagare per le proprie personali carriere politiche. In parte ciò è dovuto al modo di fare politica dei partiti: al tipo di riunioni, alla ritualità (relazione generica e sterminata del segretario, interventi prolissi e ripetitivi dei maggiorenti, spazio al dibattito degli iscritti quando ormai è ora di andarsene…), al modo di affrontare gli argomenti ( poco professionale, quasi mai tecnicamente preparato), agli argomenti stessi (delle cose veramente importanti, anche di dibattito sulla linea di partito, si parla altrove – nei gruppi formali o sui social network – assai più che nelle sedi di partito), all’incapacità di arrivare a conclusioni, all’evidenza che le decisioni sono comunque prese altrove, ecc.

Nello specifico del PD c’è un problema in più: la difficile convivenza tra i nativi democratici, avvicinatisi sull’onda dell’entusiasmo legato alla fondazione del PD, e gli iscritti che provenivano dai partiti precedenti. I primi se ne sono andati quasi subito, in molte situazioni, perché malvisti da militanti e apparati di vecchia data e di precedente altra appartenenza, che si muovevano con altre logiche. Logiche che passavano anche per un tesseramento finalizzato al perseguimento di obiettivi di gruppo, di fatto settari: far vincere la propria provenienza, il proprio candidato. Da qui un tesseramento ‘gonfiato’, anche se non fasullo: di vecchi e meno vecchi militanti tesserati non per partecipare (questo non è mai veramente interessato, almeno dal momento in cui il partito ha perso la funzione pedagogica che ha storicamente avuto fino a metà Novecento), ma per essere chiamati a votare disciplinatamente nei momenti ‘clou’ di sconto tra fazioni, a favore di carriere politiche decise da un ristrettissimo numero di gestori del partito. L’apertura alle primarie, la principale e vera innovazione nella forma partito che il PD ha introdotto, ha fatto il resto: allargando la platea decisionale ai simpatizzanti non iscritti. Di fatto, le principali innovazioni di contenuto e di leardership sono venuti da lì, non dalla tradizionale vita interna del partito. E oggi il leader del partito, e il partito stesso, godono di un consenso senza precedenti: a dimostrazione del fatto che il legame tra consenso e numero di iscritti è diventato debole. La sensazione in definitiva, è che la politica- anche la politica di partito – si faccia meglio altrove che non nei circoli e nelle sezioni.

Lo stesso PD ha visto nascere forme diverse, molto più partecipate ed efficaci, di aggregazione: le ‘Leopolde’ fiorentine, ripetute in moltissime altre realtà locali, i ‘politicamp’ civatiani, i gruppi tematici, i club e le associazioni parallele. Infine, la stessa idea di iscrizione a un partito è cambiata: più legata al sostegno di un specifico progetto, o di uno specifico leader, non genericamente di una struttura, e dunque reversibile, non più acritica, temporanea. I partiti oggi non competono più solo tra loro, ciò che favoriva in passato la militanza. Oggi competono con molti altri luoghi di formazione e aggregazione del consenso. Nel contempo, restano degli indispensabili strumenti di formazione delle leadership e di costruzione di progetto sociale. Ma come mezzi, non come fini in sé. Da qui la necessità di trovare nuove modalità organizzative.

 

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