I Cinquestelle in aula chiedono dove sia Salvini, ma dimenticano dov’erano loro

Francesco Cundari

Il dibattito sulle responsabilità politiche dietro la tragedia di Cutro ha raggiunto un tasso di ipocrisia superiore perfino ai nostri già altissimi standard, specialmente riguardo alla posizione di Conte e del M5s. Urge veloce ripasso

La tragedia di Cutro ha suscitato un giusto moto di indignazione nella politica e nell’opinione pubblica, spingendo anche la destra a moderare i toni – e ciò che più conta, a quanto pare, anche i provvedimenti – in tema di immigrazione. O almeno, questo è quello che sembrerebbe intenzionata a fare Giorgia Meloni.

Secondo tutti i giornali, infatti, la presidente del Consiglio starebbe cercando di contrastare la pressione di Matteo Salvini per un’ulteriore stretta alle norme, attraverso il ripristino di alcune misure previste nei suoi famigerati decreti sicurezza, varati nel 2018 e nel 2019, durante il primo governo Conte; misure che il Partito democratico riuscì molto faticosamente a far cancellare nel 2020, durante il secondo governo Conte.

Non per niente ieri Salvini è tornato a rivendicare esplicitamente quelle norme: «Negli ultimi dieci anni, quello in cui si verificarono meno morti nel Mediterraneo fu casualmente il 2019, anno in cui io ero ministro degli Interni e in cui erano in vigore i decreti sicurezza». Per la cronaca, il calo è da attribuire semmai agli accordi con la Libia firmati da Marco Minniti nel 2017, durante il governo Gentiloni (entrambi esponenti del Pd), e non è affatto detto che sia un merito, tenuto conto di come opera la cosiddetta guardia costiera libica e di dove finiscono i migranti trattenuti o intercettati da simili sentinelle (risposta breve: in veri e propri lager).

Premesso dunque che sull’argomento nessuno ha la coscienza a posto, il dibattito sull’immigrazione ha raggiunto però un tasso di ipocrisia superiore perfino ai nostri già altissimi standard, specialmente per quanto riguarda la posizione di Giuseppe Conte e del Movimento 5 stelle, che in questi giorni si scagliano con veemenza contro il governo, contro Salvini e persino contro il tentativo di «criminalizzare le ong».

Da quando hanno deciso di ricollocarsi sul mercato progressista, i grillini hanno infatti cercato di scaricare sul leader della Lega almeno gli aspetti più indigeribili (per uno stomaco di sinistra) delle loro scelte passate.

Ecco ad esempio quello che Conte ha detto a Piazza Pulita, su La7, il 16 settembre 2021 (cioè ben due anni dopo la caduta del governo giallo-verde): «Non è che nel decreto sicurezza c’è scritto che le persone migranti devono stare qualche giorno di più in mare e poi sbarcare, e in ogni caso il cosiddetto pos (place of safety, o porto sicuro, ndr) veniva dato e viene dato dal ministro dell’Interno, quindi non è stato di mia competenza».

Ancora meglio un paio di settimane prima, il 30 agosto 2021, in un’intervista al Corriere della sera. Qui Conte risponde a una domanda riguardo al comportamento di Salvini e ai suoi attacchi alla ministra Luciana Lamorgese sui migranti. E la risposta è questa: «Ma lui che cosa ha fatto sull’immigrazione? Già quando era un mio ministro cercai di fargli capire che un problema così complesso non si affronta con demagogia, facendo la voce grossa in televisione, sui giornali e sui social. Gli chiesi, senza successo, di migliorare il sistema dei rimpatri, ma non ci riuscì pur avendo i pieni poteri di ministro. Avrebbe dovuto lavorare con costanza nella cornice europea, dove non è mai stato troppo presente. Senza contare che i decreti sicurezza hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne. L’eliminazione della protezione umanitaria ha impedito a molti migranti di entrare nel sistema di accoglienza e ad altri di farli uscire in quanto non aventi più titolo, con il risultato che migliaia di migranti sono diventati invisibili. Insomma, Salvini da ministro dell’Interno sui rimpatri e sull’immigrazione ha fallito. È un dato di fatto».

A rileggerlo oggi, si stenta a credere che stesse parlando di un ministro del governo guidato da lui. Ma la verità è che Movimento 5 stelle e Lega, allora, fecero a gara nell’inasprire i decreti sicurezza e nell’attribuirsene il merito, a cominciare dagli emendamenti sulle multe milionarie e il sequestro delle navi alle ong che effettuavano i salvataggi (a proposito di «criminalizzazione delle ong»).

Le dichiarazioni dell’epoca, del resto, non lasciano spazio a equivoci. Queste le parole del ministro (cinquestelle) delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, l’11 gennaio 2019, ospite di Agorà, su Raitre, a proposito della politica dei porti chiusi: «Se non c’era il sottoscritto, la Lega non faceva niente, se io e Salvini non agivamo contemporaneamente: io sono responsabile della sicurezza della navigazione fino all’attracco dell’imbarcazione al porto, lui è responsabile dopo, per lo sbarco e l’ordine pubblico». E ancora: «Nel 2018, solo grazie a sette mesi del governo del cambiamento, meno 90 per cento di sbarchi in Italia, sa cosa significa, quanti morti in meno?». E infine: «…se queste due politiche, questi due elementi non si integravano non c’era questo -90 per cento. È grazie al buon lavoro di due forze politiche chiare, coerenti, fatto insieme, che si portano a casa i risultati».

Vi sembrano le parole di un ministro costretto ad accettare una politica che non condivide? O non vi sembra piuttosto la legittima rivendicazione di un risultato che allora il Movimento 5 stelle non voleva lasciare al solo Salvini?

Ancora più chiaro, in questo senso, quello che lo stesso Toninelli diceva quattro mesi dopo, il 18 maggio 2019. Domanda del giornalista: sulla questione dei porti chiusi decide Conte o decide Salvini alla fine? Risposta: «Fino a oggi non Salvini, ma Salvini assieme al sottoscritto e al presidente del Consiglio Conte abbiamo diminuito di una cifra veramente enorme il numero degli sbarchi. Significa che stiamo facendo un buon lavoro di squadra. L’Italia torna ad andare avanti a testa alta su un problema epocale come quello dell’immigrazione in cui con i governi di centrosinistra era stata abbandonata».

Ieri in Parlamento, durante l’informativa del ministro degli Interni Matteo Piantedosi, il Movimento 5 stelle ha chiesto più volte, polemicamente, dove fosse Salvini, e perché non fosse anche lui in aula, a prendersi le sue responsabilità. Dimenticando però dov’erano loro, quando le scelte decisive, in tema di immigrazione, sbarchi e soccorsi, venivano compiute.

Se effettivamente la tragedia di Cutro fosse stata causata anche dalla scelta di dare priorità alle esigenze di polizia rispetto alle esigenze di soccorso, come tanti esponenti dell’opposizione hanno sostenuto ieri, sarebbe giusto chiederne conto a Salvini, ancor più che a Piantedosi. Ma qualunque intemerata contro il leader della Lega pretenda di sorvolare sulle responsabilità di Conte e del Movimento 5 stelle, da loro stessi pubblicamente rivendicate per oltre un anno, farebbe un pessimo servizio alla causa, finendo per confermare negli italiani l’idea che alla fine sia tutto, sempre e solo un gioco delle parti.

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