di Stefano Casertano
La Russia è diventata un fornitore inaffidabile, ha mandato al macero la relazione speciale con la Germania e si è legata mani e piedi alla Cina
Vladimir Putin sta commettendo un grave errore: ritenere di detenere il monopolio dell’energia europea. Ridurre i flussi di gas per far aumentarne il prezzo è una strategia che funziona nel breve termine, ma poi il sistema necessariamente si adatta. Presi da legittima agitazione, stiamo dimenticando che ovviamente il prezzo del gas oltre i 300 euro al megawattora avrà ripercussioni epocali.
La conseguenza più diretta – per quanto ora possa apparire incredibile – è che la Russia perderà in poco tempo tutto il potere che detiene nel settore del gas.
È vero cioè che gli europei – e in primis la Germania – hanno sbagliato a mettere in mano a un dittatore la sicurezza energetica continentale. Ma l’errore è comprensibile: si pensava che lo sviluppo economico avrebbe portato necessariamente alla democratizzazione russa. È stato vero il contrario: Putin ha impedito lo sviluppo economico, e con i soldi del gas ha semplicemente rinsaldato il proprio potere. È un fenomeno tipico delle dittature basate sull’esportazione di risorse naturali, e la Russia non ha fatto eccezione.
Ma anche se la dittatura fosse rimasta tale – e la dittatura è rimasta tale – si pensava che i rapporti sarebbero proseguiti senza problemi. Le dittature non sono necessariamente sinonimo di inaffidabilità: si pensi ai sauditi, che certamente non sono una democrazia, ma che da decenni riescono a gestire con una certa armonia i rapporti del mercato petrolifero tra produttori e acquirenti.
Il fornitore inaffidabile
Putin è diverso: si è dimostrato un fornitore inaffidabile. La domanda a questo punto è: se lo può permettere?
È pur vero che esportare gas per tubo consente un certo tipo di leva sul controllo delle forniture. Per trasportare il petrolio basta un secchio; per trasportare il gas sono invece necessarie infrastrutture più complesse e costose. Per questo, se il fornitore fa le bizze (e Putin sta chiaramente facendo le bizze), è difficile trovare alternative nel breve termine, perché il gas lega il venditore all’acquirente.
Ma questo matrimonio agli idrocarburi non è frutto del caso. È vero che la Russia controllava il 40% delle forniture di gas nostrano e il 55% di quello tedesco, ma queste alte percentuali erano frutto di un solo motivo: la fiducia nella Russia.
Questa fiducia non è nata ieri, ma si è costruita in rapporti durati oltre mezzo secolo. Siamo riusciti a mantenere relazioni cordiali (e petrolifere) con gente tipo Kruscev, Brezhnev, Andropov, e questo ci ha portati giustamente a credere che i rapporti di buon vicinato sarebbero proseguiti.
Se questo patrimonio di fiducia non è mai stato messo a repentaglio neanche dai sovietici – neanche nei periodi più tesi dei rapporti tre est e ovest del mondo – è perché i sovietici sapevano benissimo che non gli conveniva. Negli anni 70 ci sono stati tentativi in questo senso, d’accordo con alcuni paesi arabi e concentrati sul settore del petrolio; ma nella decade successiva il mercato del petrolio si è riorganizzato, spingendo le quotazioni del barile a livelli minimi e insostenibili per le casse del Cremlino.
Ci siamo affidati così tanto a Putin proprio perché la sua condotta attuale è un nonsense strategico ed economico. È chiaro che per ora grazie alla rigidità infrastrutturale i prezzi del gas sono aumentati, ma è una situazione che non durerà in eterno. Non è un monopolio assoluto: cambiano gli uomini, cambiano, le stagioni, e cambieranno anche i fornitori e le infrastrutture energetiche. Già ora l’Italia ha diminuito la dipendenza dal gas russo al 25% e la Germania a 35%, e questo è solo l’inizio.
Perché Mosca brucia il suo gas
Siamo arrivati alla follia: la Russia sta bruciando il gas al confine con la Finlandia. Non lo fa perché “non sa che farci”, come ha scritto qualcuno; e non è un “segno di debolezza”. Si tratta invece di un’assurda manovra per influenzare il prezzo: si riduce la quantità di gas consegnato per alzare le quotazioni (come insegnano le teorie sui monopoli), con l’aggiunta dell’effetto terrore del fiammone, pensato come prova muscolare. Del tipo: piuttosto che darvelo, arrivo a bruciarlo.
Ma quanto durerà? La Russia sembrava un partner così affidabile, che abbiamo rinunciato a tanti progetti promettenti, dai tubi alle rinnovabili. La Germania aveva pensato perfino a un’iniziativa chiamata Desertec, un consorzio che puntava al sole del deserto africano per rifornire due continenti. Tutto, però, è stato abbandonato, perché il gas russo era tanto, costava poco e riduceva anche le emissioni rispetto al carbone.
Ridotte le esportazioni verso l’Europa, la Russia dovrà necessariamente affidarsi ad altri mercati. Ma a questo punto l’unico acquirente rilevante sarebbe la Cina, e questo aprirebbe tutta una serie di questioni delicatissime per la Russia.
Il Cremlino avrà un solo grosso cliente: la Cina
Mosca si troverebbe ad avere un solo grande mercato di sbocco – la Cina – anziché due – la Cina e l’Europa. Non è una bella posizione in cui trovarsi, anche perché sicuramente Pechino non vorrà fare la fine dell’Europa, e si doterà di tutte le contromisure tecniche e infrastrutturali per evitarlo.
C’è anche da chiedersi quanto alla Russia convenga stimolare la crescita della Cina, visto che negli ultimi secoli si sono fatti la guerra più volte: sembra che la piattaforma asiatica non offra sufficiente spazio per tutte e due.
In questo senso, la Russia con il suo sgambetto al gas europeo ha deciso di erodere il proprio potere negoziale. Dal gestire i rapporti tra due mercati di sbocco, cioè Europa e Cina, si troverà in una situazione di monopsonio (mercato controllato da un singolo acquirente), in cui possibilmente la Cina farà il prezzo.
Non si può sopravvalutare la razionalità delle decisioni di Putin. Si conta sull’effetto spavento, sulla propaganda e sulla destabilizzazione dei governi democratici dovuta all’aumento dei prezzi energetici, ma tutto questo cela la mancanza di una vera visione per i prossimi anni.
Perché in fondo anche quest’epica dell’”arma del gas” è estremamente implausibile. Come dovrebbe funzionare? L’assunto è che Putin dovrebbe poter godere di libertà politica e militare in Europa, altrimenti “chiude i rubinetti”. Ma come dovrebbe funzionare tutto questo? Veramente il governo russo pensa di poter dettare il tempo alla politica europea tramite il controllo delle forniture energetiche?
La fine della relazione speciale con la Germania
Ma soprattutto, perché dovrebbe farlo? Che tipo di agenda vuole dettare, con che obbiettivo, con quale traguardo?
Qualsiasi risposta di possiamo dare non sarebbe razionale, proprio perché l’”Arma del gas” è uno spauracchio. Gli scopi sono personali e insondabili; e i risultati non sono solo dannosi per l’economia mondiale e per l’ambiente, ma autolesionistici per la Russia, che si è fatta la fama di essere inaffidabile.
Essere considerati affidabili è un patrimonio, e Putin l’ha dilapidato. Non è pensabile che per il prossimo secolo un politico occidentale venga preso sul serio se proporrà di legarsi energeticamente alla Russia. Mosca aveva dalla sua parte i due principali partiti della principale economia tedesca: l’SPD; e la CDU, l’uno iniziatore dei rapporti, e l’altro continuatore. Adesso è difficile solo parlare di “Russia” dalle parti di Berlino.
Il momento Sputnik dell’Europa
Siamo molto più flessibili e resilienti di quanto non pensi la Russia. È un momento Sputnik per l’Europa: dobbiamo rivedere il piano energetico per ridefinirlo su una situazione radicalmente alterata. Possiamo mettere in campo tutte le nostre competenze in merito all’efficienza energetica, ai rigassificatori, ai depositi; soprattutto, oggi dobbiamo fare in modo che l’Europa si doti di un patrimonio di infrastrutture comuni per mettere ancora meglio in contatto tutti i mercati regionali: dagli stoccaggi, ai tubi. Abbiamo cioè finalmente l’impulso per creare un mercato europeo del gas che si affranchi dal discorso delle mono-forniture.
Colleghiamo ora tutti gli elementi dello scenario. Il cliente storico europeo e l’occidente incrementano l’efficienza, mettono in produzione le riserve, migliorano le infrastrutture con l’occidente e riducono al minimo la dipendenza dal gas russo. Inoltre, migliorano l’inter-collegamento della rete europea per far fronte a problemi locali di approvvigionamento, anche con sistemi di deposito strategici. Dall’altra parte, la Cina farà lo stesso: non vuole diventare dipendente dal gas russo come ha fatto l’Europa, perché nulla esclude che Mosca possa adottare strategie simili a quelle ucraine contro Pechino.
La conseguenza diretta è che si verificherà un rimbalzo della disponibilità di gas, spingendo il prezzo verso il basso. Da una situazione di monopolio relativo, la Russia si troverà a essere un fornitore marginale. Difficilmente potrà piazzare il proprio gas in mercati secondari (tipo i paesi asiatici) con il trasporto su nave, perché non si saranno sufficienti mercati in grado di assorbire l’offerta.
Questo comporterà un danno enorme alle casse statali russe, tale da determinare – stavolta sì – la fine del sistema di potere moscovita. È la stessa dinamica occorsa negli anni ottanta, quando la maggior produzione occidentale di petrolio ha spinto il barile verso prezzi minimi, spingendo l’URSS verso il baratro – e costringendola a ritirarsi dall’Afghanistan.
Ma ogni bolletta da 10mila euro da pagare è un punto a favore di Putin
Si tratta però di movimenti di medio-lungo periodo, e Mosca lo sa. Per questo, sta cercando di giocare la carta della destabilizzazione nella maniera più cruenta e più efficace possibile: ogni bolletta da 10.000 euro pagata da un europeo è un punto a favore di Putin. La prima reazione deve essere necessariamente quella di spuntare quest’arma, per dare tempo al sistema di riorganizzarsi e vincere la maggior crisi economica del dopoguerra.
La soluzione alla crisi energetica esiste da anni, e riguarda una differenziazione delle forniture, il miglioramento dell’efficienza e l’interconnessione, oltre ovviamente allo sfruttamento delle risorse che abbiamo in casa. Non si è fatto perché la soluzione russa sembrava essere più semplice ed economica. Si tratta ora di tornare sul tracciato e velocizzare lo sviluppo: dalla crisi può nascere il nuovo panorama energetico europeo.
Da Milano Finanza
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