Goffredo Bettini vuole un Pd che viaggi verso un altrove che non c’è

Di Beppe Facchetti

Quello che ormai si è capito essere il vero capo dei dem dice che i grillini sono populisti buoni, addomesticati per merito del partito, e perciò l’integrazione con loro viene naturale, ma solo per superarli. Provi a spiegarlo a Gori, Bonaccini, Sala, Nardella, solo per fare qualche nome

Forse ha ragione Goffredo Bettini quando protesta di non essere l’ideologo di Nicola Zingaretti. Il legame è diverso, è più di appartenenza, di clan, che di condizionamento delle idee. C’è una “romanità” di fondo che costruisce quasi un filo conduttore. Altrimenti non si spiegherebbe l’intensità di un rapporto che riguarda anche altri: Walter Veltroni, naturalmente, ma personalità molto diverse come Francesco Rutelli e Paolo Gentiloni.

Ma, ideologo o no, qualcosa vorrà pur dire se Mario Lavia critica Zingaretti per subordinazione ai 5Stelle, e risponde Goffredo Bettini. Da solo, conta più dell’intera segreteria. Bisognerebbe  però informare anche i militanti, che conoscono Zingaretti ma poco sanno di Bettini. Se infatti l’assemblea nazionale vota all’unanimità la fine degli aiuti alla Guardia Costiera libica e poi il Governo del PD riconferma gli aiuti, a qualcuno bisognerebbe indicare chi ha deciso il voltafaccia. 

Bettini non è mai alla ribalta ma è la storia del PD. Se «trova il tempo» di rispondere a un «giovane intelligente» dobbiamo essergli grati, perchè lui è un «pragmatico», non si perde in fumisterie e ogni giorno deve cercare di far contenti (o ingannare?) dei giovani un pò meno intelligenti ma che hanno bisogno di una guida migliore di quella di un Vito Crimi qualunque. Tenere le briglia di due partiti contemporaneamente, viaggiando tra Roma e Bangkok, non è cosa da poco.

Matteo Renzi avrà anche superato il 40 per cento, ma Bettini ha costruito il 33 per cento della sconfitta di Veltroni e le sorti sarebbero poi state felicemente progressive se non ci fosse stato l’impaccio Renzi, voluto, pragmaticamente beninteso, dalla grande maggioranza del popolo PD ma poi diventato “antipatico” a causa di un Governo che non è stato certo il “migliore” della Repubblica… quello è semmai è stato l’Ulivo di Prodi, con 6 partiti in coalizione e l’appoggio di altri 8, e con un programma omnibus di 400 pagine definito Torre di Babele.

È’ un errore di supponenza che in questi anni hanno fatto in tanti: ai tempi di Berlusconi, molti  pensavano di guidargli la mano, visto che il cavaliere era un parvenu e non capiva di politica. Fece poi sempre di testa sua.

Per Bettini sono comunque i populisti buoni, addirittura “sociali”, e secondo lui oggi sono molto cambiati, non semplicemente perché sopravvissuti alla disfatta delle mancate elezioni dell’autunno 2019, ma per l’iniziativa del nuovo PD: paziente, lungimirante, paternalista, pedagogica. Bettiniana, appunto.

Giovani che poco alla volta si adegueranno, daranno una mano al nuovo sistema basato su un PD a 6 stelle (5+1), alleato esternamente con un partito del 10 per cento di cui Bettini vuole essere  suggeritore: riformista, moderato, e liberale, confessando per nulla freudianamente che tale non sia il PD che ha in testa.

Come acutamente analizzato da Claudia Mancina nel mettere a nudo la precarietà del sistema di alleanze auspicato da Bettini, quello che non si capisce è come possa crearsi per il PD una maggioranza proporzionale quando i 5Stelle saranno diventati la metà della metà di oggi. Perchè così finirà e in politica, si sa, 5 + 1 non fa 6, ma più spesso 4.

Tutto impegnato nell’utilizzo strumentale dei grillini, Bettini non solo trascura, ma proprio nega la possibilità che il PD possa allargarsi dall’interno risolvendo in chiave di socialismo liberale il trentennale vuoto successivo alla fine del PCI, e cioè appunto la costruzione di una forza riformista di sinistra liberale. Perché non è vero che il partito è stato costruito su due sole anime. Piccola all’inizio ma spazio di espansione nel 40 per cento renziano, c’è sempre stata una forza laica, europeista, modernamente riformatrice che potrebbe star benissimo all’interno del maggior partito della sinistra.

Dove lo schema di Bettini è dunque vecchio, sostanzialmente rinunciatario, è quando ricorre al vecchio modello DS e tiene a considerare non distante ma certamente distinto (alleabile ma diverso) il ruolo della sinistra liberale.

Servono liberali, ma come li vuole lui, che pure sul liberalismo è forse rimasto alle dispense delle Frattocchie.  Introduce addirittura un unicum ideologico: la categoria dei liberali non massimalisti, in perfetta simmetria con il nuovo responsabile economico PD, Emanuele Felice, l’inventore del riformismo come male minore, o meno peggio. Roba che dunque non è più di moda in casa PD. Il lavoro sporco del riformismo liberale lo facciano altri, stando ben dentro il recinto del 10 per cento. 

Cosa resti al futuro PD dopo tutte queste distinzioni è difficile capirlo: c’è solo un altrove non meglio definito.  Impegnato a dare strategicità al governo, Bettini rischia di non darne al PD. Pragmatico certo, non più a vocazione maggioritaria, un pò nostalgico della vecchia sinistra, non troppo riformista altrimenti il responsabile economia Emanuele Felice si arrabbia, non troppo liberale perché è roba per un Luigi Marattin. E soprattutto senza Renzi, Carlo Calenda ed Emma Bonino. Non sia mai.

Un conto è insegnare ai 5Stelle come devono comportarsi in società. Per sopravvivere sono disponibili a fare di tutto. Vedi Luigi Di Maio che spiega, a chi è europeista dai tempi di Ventotene, l’importanza dell’Europa, o difende le ragioni dell’impresa e chiama imprenditori gli ex prenditori. Bibbiano? Chi era costui?.

Aria nuova, utile per mettere in un angolo Casaleggio junior e la sua patetica richiesta di non andar al di là del secondo mandato.

Un po’ più difficile esercitare la stessa supponenza pedagogica con i riformisti che per fortuna sono rimasti nel PD. Come la racconti a Giorgio Gori, Stefano Bonaccini, Beppe Sala, Dario Nardella per citare solo gli amministratori?

Ma Bettini ha l’asso nella manica: l’avvocato del popolo Giuseppe Conte.

La definizione di leader dei progressisti non era una voce fuggita dal seno di un ventriloquo.

Una volta finita la parabola pentastellata, il PD di Bettini ha pronta la soluzione: l’invenzione di Alfonso Bonafede avrà una terza vita, dopo aver deliziato l’estremismo leghista e poi il popolo dei dpcm. Un po’ come l’anatra laccata alla pechinese, in cui la parte più importante non è la carne ma la pelle. La carne si può anche buttar via e il buongustaio si occupa della pelle.  

Bettini ama l’Oriente, e quando i 5Stelle non serviranno più, si terrà Conte. Al posto di Zingaretti?

Da Linkiesta

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