E’ interessante il libro-intervista di Giovanni Fasanella ed Alberto Franceschini dal titolo “Che cosa sono le BR”, pubblicato dalla collana BUR.
L’argomento affrontato non è nuovo, ma offre spunti interessanti, la dove descrive vicende, persone e fatti legati al contesto politico e sociale reggiano.
A ricordare le radici delle Brigate Rosse è lo stesso Franceschini quando afferma che “E’ all’interno dell’idea comunista che continua a sopravvivere il mito della rivoluzione, ma una differenza rispetto al passato va comunque sottolineata: noi avevamo un involucro politico in cui vivere, il Pci e la sinistra. I nuovi brigatisti non hanno più una casa”.
Gli episodi che riconducono allo specifico reggiano sono numerosi. L’episodio del deposito d’armi nascosto in un fienile di S.Ilario è così raccontato da Franceschini: “Sotto una botola c’era una cassa di mitra Sten, una cinquantina ancora in perfetta efficienza. Quella volta venne con me un compagno che si chiamava Ferretti e che sarebbe poi diventato segretario della Camera del lavoro. Prendemmo due mitra e li portammo via”. Il deposito illegale d’armi fu poi scoperto dai Carabinieri, a seguito di una denuncia della Federazione del Pci, ma Franceschini non rivela che fine fecero quei due mitra. Nel libro si parla poi del Collettivo politico operai-studenti, noto anche come “l’appartamento”, frequentato oltre che da alcuni “aspiranti brigatisti” anche da un gruppo di cattolici del dissenso aderenti a One Way, i cui leader erano i fratelli Folloni., uno dei quali, Guido, sarebbe diventato direttore dell’Avvenire, Senatore democristiano e nel 1998 ministro nel governo di Massimo D’Alema.
Ad unire i futuri brigatisti con questi cattolici del dissenso sarebbe stato il terzomondismo ed il rifiuto totale del capitalismo e della società dei consumi. A frequentare “l’appartamento” era anche il compagno Ivan Maletti che, secondo Franceschini, nel 1978 girava l’Italia con la copertura legale della rivista “Nuova Polizia”. Nel libro viene descritta anche la prima azione brigatista a Reggio che risale al 1969: “organizzammo una serie di scioperi selvaggi e scrivemmo sul muro con la vernice rossa “Lombardini ti impiccheremo”, ma in città non si seppe nulla perché i giornali non diedero la notizia”. Circa i finanziamenti che giunsero al “gruppo dell’appartamento” Franceschini cita l’avv. Corrado Costa che gli avrebbe aiutati a pagare l’affitto. Ed i rapporti con il Pci? Da un lato ci spiava, dice Franceschini, e dall’altro cercava di recuperarci; in fondo eravamo carne della stessa carne, nervi degli stessi nervi. Singolare poi è la descrizione di un incontro di Franceschini ed altri con Fausto Pattacini, responsabile della commissione federale di controllo del Pci reggiano al quale partecipò anche Ferretti che, a detta di Franceschini, “aveva ancora rapporti con il nostro gruppo”.
Nel corso dell’incontro Pattacini avrebbe proposto al gruppo di andare a studiare un anno in URSS all’Università di Lomonosov, una scuola di partito dove si studiava il marxismo-leninismo. Franceschini ed altri presenti a quell’incontro rifiutarono. Ferretti invece avrebbe accettato. Emblematici sono anche i rapporti che si instaurarono con Corrado Corghi, giudicato da Franceschini “un personaggio estremamente interessante ed un indispensabile punto di riferimento sul piano culturale”.
Corrado Corghi, che fu fondatore, nei primi anni sessanta, dell’Azione cattolica e segretario regionale della Dc, è descritto da Franceschini come “uno degli animatori dei cattolici del dissenso, amico personale di Che Guevara e Fidel Castro, ben introdotto in Vaticano di cui era addirittura l’ambasciatore itinerante in Sud America”. Alla domanda se Corghi sapesse cosa stesse progettando il “gruppo dell’appartamento” Franceschini risponde “credo proprio di si” ed aggiunge: “da buon cattolico diceva che la lotta armata non poteva essere cosa troppo politica ed ideologica, ma doveva legarsi ai problemi della gente ed essere concepita come una serie di atti di giustizia”.
Alla domanda se nel DNA delle brigate rosse ci sono dunque dei geni anche di una certa cultura cattolica Franceschini risponde: “sicuramente”. Una cosa comunque è certa, secondo Franceschini: le Brigate rosse nacquero a Reggio Emilia nel 1970, in seguito ad un convegno svoltosi a Pecorile che mise in piedi il primo nucleo organizzativo clandestino. Due furono i principali moventi culturali ed ideologici che ispirarono i brigatisti reggiani: in primo luogo il sentimento comune, molto diffuso fra gli ex partigiani comunisti, che si traduceva nel concetto di “rivoluzione tradita”, ossia la mancata trasformazione della rivoluzione democratica ed antifascista in rivoluzione comunista; in secondo luogo la convinzione nichilista secondo la quale non vi era possibilità di riformare la società italiana ed il sistema economico capitalista, se non attraverso un atto collettivo di violenza che distruggesse tutto l’esistente.
Questi valori è questi concetti a Reggio Emilia avevano un largo consenso e ciò contribuì a formare l’habitat ideale per il diffondersi delle idee brigatiste.
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