Farabutti nella CGIL

 Sapevamo che nella sinistra reggiana si trova di tutto, come in ogni altra parte politica, anche se loro si considerano superiori e migliori. Specie dopo che alla naturale e superiore diversità comunista si è unita la superiorità morale dei cattolici adulti. I fatti però sono molto più prosaici: dopo il fascismo a Reggio sono diventati tutti partigiani e l’ amnistia di Togliatti è stata un eccellente condono tombale da una parte e dall’altra. I fascisti non avevano scusanti, ma pure i compagni non c’erano andati leggeri e anche molti anni dopo, all’epoca del chi sa parli, non ha parlato nessuno. Poi abbiamo avuto i brigatisti rossi, compagni che sbagliano. Poi i fallimenti amministrativi: Encor, Fiere, compagni che sbagliano i conti. Poi i fallimenti delle coop, compagni che sbagliano lavoro. Infine i viaggi a Cutro per avere i voti, senza accorgersi che esisteva la ’ndrangheta, compagni che sbagliano elettorato. Però non avevamo mai avuto dei farabutti, ora dopo il siluramento del segretario della Cgil, Mora, apprendiamo della loro esistenza. La Cgil, per anni un pilastro del potere immutabile della sinistra a Reggio, con un iscritto ogni 4 abitanti, bambini compresi, con il suo formidabile patronato, uno Stato parallelo, all’improvviso vive una notte di lunghi coltelli. Un candidato unico alla segreteria, a sinistra le candidature prima del renzismo erano sempre uniche, viene fucilato dal mitico comitato centrale. Ma non basta, invece di ritirarsi nella dacia in silenzio, come prevedevano gli antichi rituali pre social, sale sul palco e accusa i compagni di essere dei farabutti. Cioè individui capaci di qualsiasi brutta azione, detta in breve: mascalzoni. Ora, nel sopprimere avversari politici o nel progettare rivoluzioni, vi era l’idea fideistica di realizzare un nuovo mondo, un’idea che aveva una sua aberrante grandezza. Pure nel portare aziende pubbliche e coop al fallimento, allignava un delirio di grandezza, piccoli politici che si immaginavano grandi imprenditori. Ma il mascalzone è un segno della decadenza, del piccolo cabotaggio, della lotta per conservare il potere in Città, senza avere un’idea. Perché la cacciata di Mora interrompe il lungo regno della sinistra metalmeccanica sul sindacato, è un calcio alle ambizioni di Landini, che aspira al posto di Di Vittorio e di Luciano Lama, ma con l’idea che a sinistra debba nascere una cosa diversa dal Pd di oggi. Insomma, via gli Hollande e dentro i Mélenchon, evitando l’arrivo o il ritorno di un Macron. Allora ecco servita, non una battaglia politica alla luce del sole, ma una congiura, senza padri, nello stile dei franchi tiratori che affossarono prima il sindacalista Marini, poi il monumento Prodi, nella corsa alla presidenza della Repubblica. Congiura piccolo borghese, ma funzionale a conservare l’unica cosa che conta, il potere. Perché anche il sindacato, come il Pd è una nomenclatura che gestisce pezzi di Stato e difende i garantiti, per lo più pensionati e dipendenti pubblici, proprio nel momento in cui i diritti del lavoro e dei lavoratori sono compressi dal turbo- capitalismo e dalla globalizzazione. Proprio quando servirebbe più sindacato, esso si attarda nei vecchi riti concertativi degli anni della spesa facile, in cui anche i salari e le pensioni dei vertici sindacali sono diventati vitalizi. Mentre molti giovani lavorano per 5 euro l’ora, il governo del cambiamento, in accordo coi sindacati, si prepara a mandare in pensione sette anni prima piloti Alitalia da 15000 euro al mese. Se questo è il quadro, non stupisce che il Mora, accecato dai lunghi anni di dominio della sua corrente, non si sia accorto di nulla, perso nel solipsismo in cui è avvolta tutta la nostra classe dirigente. Aveva proposto non di riformare il sindacato, ma di terremotare ulteriormente la sinistra, la mucca alle cui mammelle sono attaccati in troppi. In fondo, meglio un Vecchi del nulla, per l’onorevole grillina Ederina Spadoni, dipendente Alitalia se non erriamo, al massimo una pensione anticipata, non certo la mucca del potere.

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