Elezioni in Emilia Romagna, può cadere Stalingrado?

Se la politica fosse solo indicatori e dati di Pil, Stefano Bonaccini dovrebbe stravincere le prossime elezioni in Emilia Romagna. Quando diventò presidente, la disoccupazione era al 9, adesso è al 5 per cento; l’Emilia è la prima regione per crescita nel paese consecutivamente da cinque anni; è davanti a Lombardia e Veneto anche nell’export pro-capite; è prima per occupazione femminile, nella sanità pubblica anche il governo gialloverde la indicò come regione benchmark; è l’unica regione ad aver già abolito il super-ticket; ha dimezzato le rette dei nidi. Verrebbe da dire che non c’è storia, nella regione dove tutto sembra andare a gonfie vele.

Su questo, anzi esclusivamente su questo, punta Bonaccini nell’ apertura di campagna elettorale presentandosi come il “sindaco dell’Emilia”, il bravo amministratore che sta al merito delle cose, perché dal 27 gennaio, quando calerà il sipario sul grande show, “Salvini se andrà” e resterà lui che è bravo e la Bergonzoni che è, nella migliore delle ipotesi, una scartina .Eppure  è terrorizzato al pensiero che passi l’idea che quello emiliano è un voto per mandare a casa il governo giallo rosso, che pure in questa Regione produce guai, vedi la plastic tax, terrorizzato che compaiano in queste contrade Zingaretti e Renzi, formalmente per sostenerlo, in realtà per beccarsi come i polli di Renzo Tramaglino. Però la politica non è solo Pil, elenco dei primati, è anche anima, voglia di cambiamento, percezione di una realtà che aldilà del Pil è peggiorata: nei quartieri periferici l’immigrazione ha fatto crollare i prezzi delle case, in cui una classe popolare fattasi piccola borghesia, aveva investito, non solo i risparmi, ma anche il sogno di ascesa sociale. La sanità funziona, ma le liste di accesso sono interminabili e anziché sfoltirle, la Regione deporta ammalati in ospedali periferici, con i disagi che ne conseguono. Non serve a nulla abolire il super ticket per i ricchi, se poi costringi i ricchi e soprattutto i poveri a pagarsi l’intervento di cataratta o gli esami strumentali, perché non possono aspettare un anno e si incazzano pure quando scoprono che pagando possono avere tutto in pochi giorni. Per quanto sia stato un buon governatore, Bonaccini non potrà evitare che al suo slogan “siamo i più bravi” venga contrapposto lo slogan “cambiamo”. .Che dopo quasi 70 di potere ininterrotto del Pd, presenta una certa fascinazione,

adesso che Salvini è arrivato a Bologna riempiendo il PalaDozza e a contrastarlo ha trovato una piazza piena, ma senza un leader. Si può resistere all’assalto di una destra rocciosa e al suo “liberiamo l’Emilia per liberare l’Italia”, provando a tenere il conflitto, tutto politico, solo su un piano squisitamente amministrativo, per di più con la retorica del “va tutto bene”? Può il Pd lasciare solo Bonaccini, continuando a parlare di temi nazionali, magari in modo anche un po’ lunare, mentre il leader della Lega, batte la Regione parlando di Emilia Romagna? In questo contesto si è rivelata sfortunata anche la scelta di andare a votare a gennaio, visti gli esiti del governo giallo- rosso che passa da un insuccesso all’altro. È chiaro che Bonaccini è stato costretto a fare di necessità virtù, anche con una certa abilità, presentandosi come il “sindaco dell’Emilia” e non come il capo di un nuovo cantiere politico, con dentro i 5 Stelle, dati in crollo. Non ci sarà nessuna foto di Bologna come c’è stata la foto di Narni, semplicemente perché quel progetto di politicizzare l’alleanza è già franato, perché il traino nazionale non c’è, anzi rischia di essere un boomerang .

La sensazione è che la campagna emiliana della sinistra, nell’intreccio tra piano locale e piano nazionale, sia un esercizio di equilibrismo. Il Pil fotografa l’oggi, la politica dovrebbe indicare il “domani”, a partire anche da una lettura più articolata dei dati, perché se è vero che tutto funziona meglio che altrove, è anche vero che anche in Emilia la dinamica economica ha prodotto nuove disuguaglianze e si avverte una certa fatica anche nel mondo della piccola e media impresa. Inoltre il modello cooperativo ha inanellato una serie di fallimenti che hanno lasciato per strada lavoratori e risparmiatori, dei quali nessuno parla, perché il sistema di potere è ancora forte e il Partito è ancora in grado di garantire lavoro, appalti ed edificazioni. In questa regione il consumo di territorio è stato eccessivo e se ha arricchito alcuni, ha reso più brutta la vita di tutti, altro che green economy!  Però Bonaccini resta forte, dietro di sè ha la straordinaria macchina del potere locale, gli industriali, i sindacati, almeno i vertici, le cooperative sociali che si sono ingrassate con la gestione dei migranti. Poi nelle singole province può presentare candidati di spessore maggiore di quelli del centro- destra, che fatica ad aprire le liste alla società civile e ai civici. Un eccesso di identitarismo e piccole difese di bottega potrebbero essere fatali al centro- destra. Resta il fatto che se l’Emilia cade, il governo sarà debolissimo e se Bonaccini vince, sarà una vittoria soprattutto sua e il governo resterà debole. Se dovessi fare un pronostico direi che Bonaccini è ancora in testa, ma che se a Roma continueranno a latitare, la Stalingrado della sinistra potrebbe crollare e avremmo i salviniani insediati appunto in via Stalingrado, sede della Regione. Un po’ come se i cosacchi fossero arrivati in S Pietro.

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