E ora sperano nella Lega – Marcello Veneziani

Qualcosa è cambiato. Abbiamo passato l’estate con la caccia grossa a Salvini, il nuovo cinghialone d’abbattere, la bestia nera dei media e dei potentati. Ma da quando si è profilata la “manovra del popolo” il nemico numero uno è diventato il Grillino, con la faccia di Di Maio, gli occhiali di Toninelli e le parole di Casalino.

Il campanello del cambio d’ora l’ha suonato il presidente della Confindustria Boccia quando ha detto di confidare nella Lega. Ma come, la Lega? Si, lui l’ha detto ma sotto sotto anche i peggiori nemici del movimento di Salvini ora sperano che sia proprio la Lega a frenare la deriva masaniella che i grillini hanno impresso al governo. Fino a ieri il Peggiore era Salvini e i grillini si potevano compatire e perfino redimere se strizzavano l’occhio a sinistra, se seguivano il più fatuo dei loro esponenti, quel Fico d’India che mostra le sue spine a Montecitorio (faccia di cactus, core napulitano).

Ma quando scatta l’ora dei soldi in pericolo, la percezione di scivolare in Venezuela o giù di lì, quando si teme che la macchina possa saltare in aria o possa essere portata fuori strada, allora l’unica speranza è attaccarsi al maggior realismo della Lega, dei suoi economisti, di gente seria come Giorgetti, e in periferia come Zaia. Per non dire di Calderoli, di Maroni, e di chi ha dimostrato in passato d’avere la testa sulle spalle e non partire per l’avventura. Che lo dicano Forza Italia e la Meloni si può capire, sperano in quel fantasma buffo che è il centro-destra; ma oggi sono costretti a pensarlo senza dirlo anche alcuni pezzi d’establishment e perfino alcuni pezzi della sinistra.

Coi giorni vedremo crescere l’attenzione intorno a chi dovrebbe frenare e correggere la manovra grillina. Soprattutto Giorgetti, che è diventato per molti il moderato, il Letta di Salvini o forse il Tatarella della nuova destra, il ponte col Quirinale e col resto del mondo, quello che ha studiato alla Bocconi, il cugino del finanziere Ponzellini, insomma l’uomo rassicurante e l’unico bilingue della tribù, perché conosce anche la lingua dell’establishment. Mai sopra le righe, rigorosamente lombardo, anzi peggio, di Cazzago (un paese che sembra un improperio), Giancarlo Giorgetti è l’antitesi di Giggino sciué sciué, di Diba er caciarone, dello stralunato Toninelli; non ha grilli per la testa. Ma, se lo abbiamo capito bene, non sarà il cavallo di Troia del sistema, non sarà il passe-partout per infiltrarsi di soppiatto, magari in combutta con Tria, Moavero e lo stesso Conte.

Giorgetti funziona in tandem con Salvini, uno è movimento e l’altro è istituzione, uno buca il video e l’altro rimbocca i conti, uno conquista i consensi e l’altro tutela la credibilità. Difficilmente si possono separare, perderebbero forza ambedue.

Insomma non è l’amico dei poteri forti ma l’altra faccia della Lega. Sobria e realista, più diplomatica e cortese. Anche se poi lo stesso Salvini è tanto diretto nei media quanto poi sa mediare nei rapporti diretti. Ce ne sono altri nella Lega che hanno un ruolo più realista e rigoroso, che non esultano come bambini per le manovre economiche e vogliono soprattutto rendere la manovra davvero espansiva per far ripartire il paese e non assistenziale per distribuire soldi a chi non ce li ha. Sanno qualcosa del mercato e dei flussi finanziari, sono critici dell’Europa ma non pensano di trasferire l’Italia in Africa o in Sudamerica, hanno un senso più serio delle cose. Ecco, è arrivato il momento della serietà. Non quella lugubre alla Monti né quella piangente alla Fornero, ma la serietà di cambiare le cose, scendendo dalla giostra e dalle chiassate. Quella serietà a cui ci esortò perfino l’Eroe nazionale, quando rieletto deputato, si affacciò a Roma dal balcone e disse alla folla esultante: “Italiani siate serii”. E Garibaldi era molto più descamisado e sudamericano di Di Maio, Diba e Fico d’India.

MV, Il Tempo 3 ottobre 2018

 

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