E adesso: la responsabilità degli eletti messa alla prova

 Quella che si è appena conclusa è stata una delle peggiori campagne elettorali di sempre. I suoi esiti non erano scontati: ma neanche imprevedibili, senza con questo, invocare il “ senno del poi “.
Il Movimento Cinque Stelle ha ottenuto più del 50% dei suffragi in alcune regioni del Paese. Si è già notato che ciò è stato reso possibile da promesse elettorali, la più rilevante delle quali è un reddito di cittadinanza di almeno 780 euro mensili, difficilmente compatibili con la realtà delle finanze pubbliche. Ma l’amara verità è che la campagna elettorale degli altri non è stata molto migliore: né più parsimoniosa negli impegni, né più realistica nelle promesse, neppure più ragionevole nei toni.
La demagogia non è stata l’esclusiva di una parte politica: ha contagiato tutti, con minime differenze di sfumature. Come si fa ad accusare di irresponsabilità fiscale le forze cosiddette “populiste”, quando a pochi giorni dal voto si promettono 400 mila nuovi assunti nella pubblica amministrazione? E come si può, seriamente, mettere in guardia gli elettori da avventuristiche ipotesi di deficit spending, quando per anni si è detto di “picchiare i pugni sul tavolo” contro la “stupida” regola del tre per cento?
La prova peggiore di queste elezioni, non nascondiamocelo, l’ha data la classe dirigente del nostro Paese: l’establishment, la borghesia per usare un’espressione desueta. La quale oggi è prontissima a stracciarsi le vesti per la cosiddetto“ collasso “ del sistema democratico, ma che per anni ha contribuito a costruire quell’egemonia culturale consacrata da queste elezioni. Un borghesia più e meno arroccata nel ceto dirigente del PD renziano, nelle grandi città, nei quartieri ricchi e benestanti delle medesime.
I “populismi” di oggi non vengono dal nulla: le loro posizioni, le loro idee, sono presenti nel catalogo dei più blasonati editori del Paese, non sono mai state minoritarie sulle pagine dei grandi giornali, hanno da sempre cittadinanza nella discussione pubblica. I toni possono essere nuovi, gli argomenti non lo sono.
In queste ore, giornali e opinionisti producono con grande slancio ipotesi su nuove tendenze secolari, sull’eclissi della società aperta, sulla fine della globalizzazione, sulla trumpizzazione dell’Europa e quant’altro. A noi sembra che gli elettori potessero votare solo le opzioni presenti sulle schede elettorali: e che ci voglia molta fantasia per immaginare che le elezioni in Italia le abbiano perse, per citare due figure assai diverse ma equidistanti dai vincitori del 5 marzo, gli epigoni di Margaret Thatcher o di Bill Clinton.

Le ricette che nella domenica del 4 marzo hanno incontrato il consenso popolare sono diverse da quelle che ci siamo formati nel tempo, se volete per una certa esperienza nella vita pubblica, che però è cambiata vorticosamente nell’ ultimo ventennio. Queste elezioni segnano comunque la fine di un epoca e l’ inizio una nuova fase politica e sociale – la terza – che probabilmente va interpretata con “categorie” diverse dal passato : non più con i logori concetti di destra, di sinistra, di centro, ecc.

Auguriamo la miglior fortuna dunque, per il bene di tutti,ma soprattutto a chi, sulla base di questi risultati elettorali, sarà chiamato ad assumere responsabilità di governo, accettando senza troppe “cortonsioni” il forte richiamo al “ senso responsabilità in nome dell’ interesse generale “ del Presidente Mattarella, uomo politico , per fortuna, dotato di un forte senso delle istituzioni e di una solida cultura democratico-cristiana , capace di una silente mediazione fra contrastanti forze politiche, proprio per il bene del Paese. Anche il presidente dei Vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha detto fuori dai denti che compito del prossimo governo è quello di“ pensare ai poveri e di essere totalmente al servizio della gente e di ascoltarla “.
Anche se da queste elezioni non esce un’agenda chiara per l’Italia: i suoi problemi restano immutati e forse alcuni, a cominciare dal divario Nord-Sud, sono ancora più evidenti di prima. La madre di tutti questi problemi è la bassa crescita potenziale del nostro Paese assieme ad un debito pubblico su cui vigilare seriamente. Come aumentare la velocità di crociera dell’economia e cercare di risolvere con equilibrio le questioni sociali più acute è questione che forse costringerà a tornare a guardare la realtà, e magari a rivedere più o meno in profondità le promesse elettorali.

 

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