Non sempre van d’accordo, lo ha dimostrato il governo Berlusconi, lo dice il governo Monti. Difficile conciliare la volontà del popolo con la capacità politica e le competenze di parlamentari e governanti. Tutti i sistemi elettorali, sic est, si prefiggono l’obiettivo di fornire il giusto livello di rappresentanza e potere ai vari schieramenti politici, di tal fatta che i principali partiti e le forze di maggioranza possano essere valorizzati, senza troppo penalizzare le contingenti minoranze. E’ un gioco di pesi e contrappesi, mixato in funzione del contesto storico e delle aspettative correnti e prospettiche delle forze politiche, di maggioranza ed opposizione, che si trovano a dover decidere sul cambiamento di un determinato sistema elettorale in vigore. Non esiste perciò il sistema elettorale adatto a tutte le stagioni e per tutte le regioni, esistono invece differenti sistemi elettorali, che possono essere buoni o cattivi, a seconda del contesto storico e geopolitico di riferimento. Tutti i sistemi elettorali delle democrazie avanzate hanno però – chi più, chi meno – una pecca comune, che in Italia diventa peccato a causa di una certa cultura radicatasi col tempo nel tessuto politico, culturale e sociale del paese: in democrazia sembra a volte si possa prescindere dalle competenze tecniche e dalla capacità politica di eletti e governanti, perché ciò che conta dicono essere la volontà del popolo – quando è quella dei partiti e di chi li governa – di condurre al potere determinate forze politiche o determinate lobby di influenza. Capita così che nelle situazioni di crisi politica e/o economica, in cui ai governanti si richiedono doti da stranamore per superare la delusione di una passione popolare tradita dall’eccesso di democrazia, si renda necessario passare da governi inetto-democratici a governi tecnico-autarchici, con buona pace di quei parlamentari che, in un modo o nell’altro, riescono a nascondersi e mescolarsi nel gregge degli inetti eletti – più o meno democraticamente a seconda dei vari sistemi elettorali – al riparo dal rischio di democratica caduta. Poiché non esistono sistemi elettorali realmente democratici in cui la gente conta più dei partiti – che si tratti di maggioritario o proporzionale, di uninominale o plurinominale, di preferenze o liste bloccate – sarebbe il caso che forze di maggioranza e di opposizione, dall’alto delle loro responsabilità, pensassero seriamente ad una riforma elettorale in grado di coniugare equamente democrazia, capacità e competenze nell’accesso alle cariche parlamentari e governative, mettendo in secondo piano gli equilibri di palazzo ed i posti da salvare o preservare, che in ogni campagna elettorale o formazione di governo la fanno da padrona, al di là dei proclami. Si potrebbe e dovrebbe invece pensare – a qualsiasi livello di competizione elettorale, locale, nazionale o europeo – ad un sistema di candidature misto, che possa prevedere al contempo l’elezione di esponenti dotati di comprovate quanto variegate esperienze e conoscenze (economiche, giuridiche, tecniche, storiche, umanistiche) unitamente a quella di esponenti provvisti di background politico. L’equilibrio dinamico fra democrazia, competenze e capacità deve essere infatti condizione imprescindibile dei sistemi elettorali democratici di vario stampo e natura, per far sì che dopo le elezioni non si debba ricorrere ad escamotage poco democratici per sanare le ferite da eccesso di democrazia a-tecnica. I criteri e le soluzioni possono essere diversi, l’importante è costruire un sistema elettorale che sia in grado di conferire il premio di maggioranza al merito ed alla capacità di buona parte degli eletti.