Delrio e la strategia del sughero

Di fronte ad un Letta tornato dall’esilio parigino in veste di epurator, Delrio a differenza del suo collega senatore Marcucci, si è adeguato quasi prontamente alla richiesta di dimissioni da capogruppo del Pd alla Camera.

Certo ora la grancassa mediatica lo dipingerà come il Cincinnato che, salvata Roma, ritorna al lavoro nei suoi campi. Verrà esaltato il suo spirito di servizio, la devozione alla causa.

In realtà di fronte alla richiesta di dimissioni di Letta, perfidamente ammantate da questione di genere, il nostro dopo una timida resistenza, ha capito di non avere speranze. Se avesse mantenuto la sua candidatura, ammesso che il gruppo lo riconfermasse, il che era dubbio, avrebbe sfiduciato il suo segretario, preparando per quella via la sua esclusione dalle prossime liste elettorali. Se il rischio fosse valsa la candela, si sarebbe opposto, come fece con l’evanescente Zingaretti che voleva al suo posto Orlando.

Supponiamo che nel colloquio con Letta, che ha preceduto il nobile gesto, abbia ottenuto garanzie sul suo ritorno in Parlamento. L’uomo è abile e sa galleggiare in tutte le acque: eletto consigliere regionale coi voti dell’allora Presidente della Provincia Roberto Ruini, contro il candidato di Castagnetti, Marco Barbieri, per ironia il più lettiano del Pd emiliano, rapidamente passò sotto l’ala di Castagnetti, abbandonando Ruini al suo destino. Divenne poi il ministro renziano nel governo Letta e dopo l’ormai famoso “Enrico stai sereno”, traslocò senza particolari patemi, a Palazzo Chigi come sottosegretario di Renzi, che chiamava Mosè. Arrivato Gentiloni, passò ai Trasporti. Avendo il Pd perso elezioni e Governo, fu eletto capogruppo da parlamentari per lo più renziani, perché aveva mollato il suo Mosè solo il giusto, non troppo.

Del suo operato di governo si può dire che quantomeno è stato sfortunato, avendo messo il cappello sulla sciagurata pseudo riforma delle Province e per essere stato ai Trasporti fino a poco prima del crollo del Morandi.

Oggi apprendiamo pure che aveva al Ministero come consigliere giuridico, uno senza laurea, tal Benotti, noto per l’appalto delle mascherine cinesi, legato alla sua segretaria, tale Appulo. Ovviamente si tratta di una serie di sfortunate coincidenze, che però non depongono favorevolmente per l’uomo che Renzi voleva ministro del Tesoro del suo governo, prima che Napolitano lo stoppasse, recuperando, in giro per il mondo, Padoan.

Sarebbe stato il primo medico a ricoprire tale incarico, con l’eccezione di Che Guevara dopo la rivoluzione cubana. Del resto il suo nome circolò anche come Presidente della Repubblica, prima dell’elezione di Mattarella: erano i tempi del renzismo trionfante e Delrio era il prediletto di Mosè. Ora, sempre con spirito di servizio, come Cincinnato si ritirerà nel suo podere di Reggio dove i suoi uomini sono piazzati ai vertici della macchina comunale a dirigere un sindaco dimezzato come Vecchi. Qui il Letta epurator non è ancora arrivato.

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