Cosa sappiamo e cosa no sul vaccino per COVID

  • Flavia Bustreo
  • Former World Health Organization Assistant Director-General for Family, Women’s and Children’s Health

La scienza negli ultimi mesi è entrata prepotentemente nel dibattito televisivo. La figura del virologo ha sostituito quella del sociologo e del politologo, occupando il posto di questi esperti nei famosi divanetti dei programmi tv, dalla fascia antimeridiana al prime time.

A tal proposito, molti sembrano annoverare tra i pochissimi meriti del COVID-19 una rinata fiducia dell’opinione pubblica nei confronti della scienza e della medicina. Un enorme risultato, se si pensa ai dibattiti di qualche anno fa, dove i dati (pilastro dell’informazione corretta) e la competenza combattevano una lotta impari contro le fake news confezionate e distribuite su larghissima scala all’ignaro popolo del web.

Uno dei bersagli preferiti di questa lotta è stato il vaccino, tornato alla ribalta grazie all’ascesa del popolo no vax. Ne avevo parlato qui a proposito della famosa campagna di debunking sui vaccini, portata avanti da Gavi Alliance (l’alleanza globale per i vaccini e l’immunizzazione), partnership pubblico privata con cui l’Italia è impegnata dal 2006 e del quale è il quarto donatore assoluto dopo USA, UK e Francia.

E proprio Gavi tenta di porre un po’ di ordine tra le notizie sparse e confuse in merito al nuovo protagonista della scena mondiale: il vaccino contro il COVID-19. Per il momento, l’unica cosa che sappiamo per certo è che il vaccino serve e una volta trovato, potremmo finalmente dormire sonni tranquilli.

Nel frattempo, cerchiamo di rispondere ad alcune delle domande che affollano il dibattito: candidati, tempi e distribuzione.

I candidati

Attualmente vi sarebbero più di 100 candidati vaccini in sperimentazione di cui 10 sono già oggetto di test clinici. Questo processo, che di norma richiederebbe molto più tempo, è stato velocizzato grazie alla tempestiva identificazione della sequenza genetica del virus, resa pubblica dalla Cina già il 12 Gennaio 2020.

Inoltre, le ricerche effettuate in merito alle epidemie SARS e MERS-Cov-2 hanno fornito una solida base di ricerca da cui partire, viste l’appartenenza del virus COVID-19 alla stessa “famiglia”.

I tempi e lo studio cinese

Riguardo ai tempi, si intravede la possibilità di un vaccino già in autunno. Questo è quanto dichiarato per esempio dalla multinazionale Astrazeneca che ha appena concluso i primi accordi per la produzione di almeno 400 milioni di dosi del potenziale vaccino anti-COVID-19 in sperimentazione a Oxford in collaborazione con l’azienda Irbm di Pomezia.

La rapidità dello sviluppo del vaccino contro il COVID-19 non conosce precedenti nella storia. Ciò è stato reso possibile grazie ad un’accelerazione nelle modalità di creazione, quali una revisione di un altrimenti troppo lungo processo normativo e la contemporanea sperimentazione su animali e umani.

In merito alla sperimentazione umana, un recentissimo studio cinese pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet ha reso noti i risultati delle prime sperimentazioni sugli uomini. Lo studio mirava a valutare la sicurezza, la tollerabilità e l’immunogenicità (che significa la capacità di creare una reazione immunitaria) di un vaccino ricombinante un adenovirus di tipo 5 (Ad5) con una parte del virus COVID-19 che esprime la glicoproteina spike.

Tradotto significa che i ricercatori hanno creato un nuovo virus, composto da un virus innocuo (adenovirus) e il “pezzo” di virus COVID-19 che produce la proteina spike. La proteina spike è la proteina che si attacca ai recettori ACE (maggiormente presenti nei polmoni) e permette al virus COVID-19 di circolare nell’organismo. In altre parole, questa proteina è la chiave con la quale il virus “apre la porta” per entrare nel nostro corpo.

Quindi, quando il virus ricombinato viene iniettato nel corpo del paziente accadono due cose. La prima è che la proteina spike si attacca ai recettori, ma non avendo la carica del virus non infetta. La seconda è che il corpo non riconosce la proteina e allora inizia a produrre anticorpi che impediscono alla proteina spike di “aprire la porta”.

In sostanza gli anticorpi, eliminando la chiave di entrata del COVID-19 (la proteina spike), impediscono al virus di entrare e infettare il corpo. Solitamente i vaccini funzionano inserendo un virus attenuato, in questo caso si utilizza un virus ricombinato che ha lo scopo di permettere di leggere la chiave d’entrata del virus e bloccarla.

Dallo studio è emerso che un vaccino di questo tipo è immunogeno dal 28 giorno, pertanto merita di essere oggetto di ulteriori studi.

La distribuzione

Ora che l’utilità dei vaccini non sembra più essere oggetto di dibattito, la comunità internazionale concorda sul fatto che questa sia l’arma migliore che abbiamo a disposizione per sconfiggere quello che è diventato il nemico numero 1 di tutti gli stati. Pertanto, da oggetto di discussione, il vaccino è diventato oggetto di aspra contesa: tutti i paesi del mondo, scottati della lezione appena appresa sui DPI, si sono ufficialmente lanciati in questa riedizione della corsa all’oro.

La recente assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, conclusasi lo scorso martedì, ha tentato di correre ai ripari in questo senso, votando all’unanimità una risoluzione presentata dall’Unione Europea a nome di 140 paesi.

Infatti, uno dei punti salienti dell’accordo era quello di promuovere un atteggiamento collaborativo e non predatorio, ribadendo l’esigenza “dell’accesso universale, tempestivo ed equo e l’equa distribuzione di tutte le tecnologie e i prodotti sanitari essenziali di qualità, sicuri, efficaci ed economici […] necessari nella risposta alla pandemia di COVID-19 come priorità globale e la rimozione urgente di ostacoli ingiustificati”.

E se tra i paesi del primo mondo è ipotizzabile una seppur minima possibilità di collaborazione, a preoccupare maggiormente è la situazione dei paesi in via di sviluppo, che come spesso accade in questo tipo di contesti arrivano ultimi.

Situazione aggravata maggiormente dal ritiro dei fondi USA all’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sempre operato efficacemente nei paesi a medio e basso reddito, tentando di riequilibrare i rapporti tra nord e sud del mondo. Pertanto, una volta superata la fase uno del vaccino (ricerca e scoperta) sarà necessario introdurre nuovi strumenti per la fase due (distribuzione) e assicurarsi che la fase due sia contemporanea in tutti i paesi, e non che i paesi più svantaggiati vi accedano solo in un momento successivo.

Altro piccolo merito che alcuni attribuiscono al COVID-19 è quello di aver risvegliato la solidarietà e averci reso migliori. Il vaccino potrebbe fornire da banco di prova in tal senso. Se i governi saranno in grado di accordarsi e aiutarsi tra loro, vuol dire che la globalizzazione ne esce rinforzata da questa crisi, dimostrando che a diffondersi alla velocità della luce non è solo il male (il virus) ma anche il bene (la cura).

Sarebbe la prova che rovescia il paradosso per cui eravamo sani in un mondo malato, e ora grazie al COVID-19, siamo malati (fino alla scoperta del vaccino) in un mondo più sano. Dunque, è il caso di ribadirlo ancora una volta: andrà tutto bene, solo se per tutti andrà bene.

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