Cosa funziona e cosa no nella legge di stabilità

vignetta-tagli-economici-02092013-300x208Tra malumori diffusi nei partiti di governo e feroci condanne da parte dei partiti all’opposizione e delle forze sociali, sembra che la legge di stabilità proposta dal governo Letta sia riuscita a raccogliere l’unanimità del dissenso. Ma quando si va a vedere cosa mai generi tante critiche, ci si accorge che non si tratta di quello che c’è, bensì di quello che non c’è: la legge è fatta di tanti piccoli interventi e non prevede il grande rilancio, il coraggioso e drastico abbattimento del cuneo fiscale, il forte sostegno dei consumi. È vero. Ma abbiamo già dimenticato che qualche settimana fa si dibatteva su come portare il deficit dal 3,1 al 3% del Pil per non sforare il vincolo del patto di stabilità europeo?

 Sembrava che il governo, reso traballante dalla questione della decadenza di Berlusconi, dovesse cadere sullo 0,1%, pari a 1,6 miliardi di euro, dato che l’aumento Iva era una linea del Piave per il Pdl, cui questa volta si accodava anche il Pd. Salvatosi il governo e introdotto tranquillamente l’aumento Iva che nessuno voleva (è scattato in automatico in base ad una precedente legge, avvertì a fatto compiuto il Ministro Saccomanni), ora si ironizza sulla detrazione di 1,5 miliardi ai lavoratori dipendenti che equivale ad una mancetta, sull’investimento di 90 milioni in tre anni per le risorse idriche quando servirebbero due miliardi all’anno per 25 anni, sull’aspirina alle imprese ( Confindustria dixit) rappresentata dai 2,5 miliardi di riduzione del cuneo fiscale contro i 10 miliardi annui considerati il minimo per impattare sulle decisioni delle imprese, e così via.

 Colpa del governo, che aveva alimentato tante attese sul rilancio. Ma colpa anche di noi cittadini, inclini a scivolare nel populismo quale sollievo temporaneo al logorio di cinque anni di crisi; e quindi disposti a credere all’abolizione indolore dell’Imu nonché alla possibilità di evitare l’aumento dell’Iva e anzi di diminuire di colpo la pressione fiscale, salvo l’inevitabile e brusco risveglio con la Trisi sulla casa e l’Iva al 22%. Un giudizio meditato sulla legge deve iniziare riconoscendo che i vincoli di deficit e di debito ci condannano al piccolo cabotaggio, fino a che la ripresa altrui non trascini anche noi. E quindi teniamoci ai piccoli numeri della manovra complessiva che non turbano i mercati e abbassano l’interesse sul debito pubblico; e guardiamo piuttosto ai contenuti della legge, a saldi invariati.

 È bene prolungare le agevolazioni all’edilizia; ed è bene prevederne un credibile calo nel 2015 anziché continuare con il diseducativo andazzo delle scadenze improrogabili che vengono prorogate all’ultimo momento. E’ bene rifinanziare i fondi per le politiche sociali, la non autosufficienza e il 5% per mille, anche qui raccomandando la stabilità degli impegni al posto dei vuoti minacciosi colmati all’ultima ora. E’ bene rifinanziare il fondo di garanzia per le imprese e concedere la riduzione delle imposte per quelle che ricapitalizzano e assumono. E’ male prevedere detrazioni Irpef e riduzioni del cuneo fiscale di ammontare irrilevante e irritante: meglio concentrare la manovra su una delle due voci. E’ male la non indicizzazione delle pensioni sopra un certo ammontare: se lo Stato vuole erogare meno ai pensionati ricchi, alzi le imposte, non si affidi all’inflazione E’ male infine tartassare il pubblico impiego con misure subdole come il mancato rinnovo del contratto e la dilazione senza interessi della liquidazione: sono misure che colpiscono nel mucchio e richiamano i tanto vituperati tagli lineari.

È assolutamente bene, per chiudere con una nota positiva, l’introduzione della “giornata elettorale ” che concentra le elezioni locali e nazionali in un’unica domenica. Non salverà il bilancio dello Stato, ma è un buon esempio di quella politica di revisione della spesa che è stata sin qui prodiga di annunci più che di risultati.

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