Conte lancia “il patto di rinascita”, ma non ci crede e non lo vuole

Ci provano con gli appelli alla concordia, Nicola Zingaretti, Silvio Berlusconi e soprattutto Sergio Mattarella, ma Giuseppe Conte è deciso a non raccoglierli. Nella sua ennesima conferenza stampa parla di “un nuovo inizio”, dell’”agire nel segno della condivisione”, come chiede Mattarella, ma non convoca tavoli sulle cose da fare subito e mantiene in vita i suoi pletorici comitati, che aldilà del prodotto, scarso, hanno commissariato la politica. Medita Stati generali con parti sociali e attori economici, ma supponiamo per raccogliere pareri, richieste proposte, non certo per presentare un piano che non c’è.

Palazzo Chigi spiega che il capo del governo ha sempre seguito la strada del coinvolgimento del centrodestra nelle decisioni, con scarsi e nulli risultati, visto che si è agito per immodificabili DPCM e costantemente si è posta la fiducia. Conte dice che si può lavorare insieme sui provvedimenti già in Parlamento – cosa che non sta avvenendo – e che è disponibile a incontrare il centrodestra e ad “acquisire” le proposte – cosa già avvenuta nei mesi scorsi senza esiti concreti. Nel mentre i problemi giacciono irrisolti, da Taranto, all’Alitalia, alle concessioni Autostradali, al Mes, giacciono non solo per l’incompetenza, che denuncia a ragione Carlo Calenda, ma per le divisioni nel governo. In questa situazione pure il Pd va in confusione: sa che gestire l’ondata di licenziamenti e chiusure che arriveranno, con il loro carico di rabbia e sconforto, non sarà facile senza un minimo di accordo con le opposizioni. Ma mostra l’inconsistenza di Zingaretti ed è prigioniero del tatticismo di Franceschini, che vuole spingere il premier a intestarsi una trattativa che sa essere destinata al fallimento, perché Conte finora l’opposizione l’ha presa a schiaffi in faccia e una volta fallita questa opzione, dirà che non è l’uomo giusto e si candiderà a sostituirlo.

E’in questo solco che Conte spinge sul confronto con parti sociali, attori economici e forze politiche, chiede di lavorare insieme a un’agenda di titoli che l’esecutivo ha già in mente, a partire dal prossimo decreto sulle semplificazioni. Nel paniere ci sono la digitalizzazione, la banda larga, un piano di consolidamento del tessuto delle piccole e medie imprese, il rilancio degli investimenti, il taglio della burocrazia e la riforma dei tempi della giustizia e del reato di abuso d’ufficio e dulcis in fundo, la riforma fiscale. Tutte cose giuste, tutte cose belle, ma sulle quali ognuno ha una diversa idea e molte sono pure sbagliate.

 Avanti così ha ragione Carlo Bonomi, presidente di Confindustria sul fatto che il governo possa fare più danni del virus. La vicenda Atlantia e il Covid come infortunio sul lavoro e non come malattia, rivelano un sentimento anti-imprenditoriale e l’idea di uno Stato padrone, che fa ridere, viste le condizioni in cui versa la pubblica amministrazione.

Siamo passati dalle promesse di grandi opere, a quelle di opere faraoniche, è ricomparso pure il ponte sullo Stretto, per il quale Berlusconi fu a lungo dileggiato. Ma si sa, a sinistra tutto diventa bello e tutti si redimono. Però se la sanità ha subito da Monti in avanti tagli per 37 miliardi di euro, nessuno ricorda che eccetto un anno del Conte uno al governo, c’è sempre stata la sinistra, cioè gli stessi che da Monti, a Bersani, a Letta, a Franceschini, a Delrio, ogni sera in Tv ci avvertono del pericolo del sovranismo, che dirà pure molte sciocchezze, ma stando all’opposizione, non può farle.

Diciamolo: abbiamo riaperto il Paese senza aver approntato nessuno strumento di tracciamento, in attesa dell’app Immuni, che servirà a poco, per ora siamo al tracciamento cartaceo di ristoranti e parrucchieri e alla raccomandazione di lavarsi le mani e portare le mascherine, quelle stesse che il commissario commissariato, Borrelli, si vantava di non portare perché inutili e che il consulente Ricciardi diceva che servivano solo agli infettati, ma gli infettati non sapevano di esserlo. Se i sovranisti dicono sciocchezze, questi le fanno e il prezzo lo paga il Paese. Non dirò: fate presto, visti i tempi di casse integrazioni, bonus e prestiti garantiti, ci si accontenterebbe facessero qualcosa e uscissero dal loro castello, per vedere che senza una forte coesione politica e sociale, avremo grossi problemi. Se poi qualcuno perderà il suo posto da Premier o da ministro, gli italiani se ne faranno presto una ragione.

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