Il 2021 inizia come si è chiuso il 2020: i quotidiani sono pieni di esperti che ci spiegano perché Giuseppe Conte piace agli italiani «nonostante tutto», mentre gli esponenti del comitato tecnico-scientifico continuano a spiegare che le misure prese contro il Covid stanno funzionando, nonostante continuiamo ad avere centinaia di morti al giorno. I ministri ci ripetono che il ritorno a scuola è un obiettivo inderogabile, mentre perlomeno metà degli studenti resterà a casa anche al prossimo giro e se la curva non si piega, dubitiamo che ciò si avveri. E’certamente vero che la popolarità del premier rimane alta e se proprio non piace, certamente non dispiace il suo stile al tempo stesso dimesso e pretenzioso, ampolloso e vacuo. Forse perché, sotto sotto, abbiamo paura di cambiare e le alternative non solo non sono chiare, ma neppure esistono. Renzi come sempre si rivela immaginifico e coglie il rischio che il governo del tirare a campare possa portare il Paese a “rompersi l’osso del collo”, ma ormai nessuno gli crede più, neppure quando dice la verità. In effetti dal refrain “siamo un esempio per il mondo nella gestione del Covid”, siamo passati ad essere il Paese col maggior numero di morti, nonostante le pesanti chiusure e con la maggior perdita di Pil, mentre il debito pubblico esplode, grazie anche a spese insensate come i banchi a rotelle e un profluvio di bonus, dai monopattini al cashback, che finiscono col favorire le classi più evolute e benestanti, senza rilanciare né l’economia, né i consumi. Mentre il piano per il Recovery rischia di essere usato per metà a finanziare interventi già programmati, sempre per evitare l’eccesso di debito, anziché in interventi che rilancino davvero il Paese. Del resto un governo senza unità e idee, non può fare altro. Nessuno che dica, con l’eccezione del mite Calenda, che senza profonde riforme del sistema sanitario, delle politiche attive, della burocrazia e della giustizia, l’Italia non può farcela, non solo a riprendersi, ma perfino a spendere i soldi del Recovery, che prevedono la conclusione delle opere in 6 anni, il tempo medio di progettazione, come ampiamente dimostrato dallo scarso uso dei fondi strutturali europei. Basta ripensare alla conferenza stampa di fine anno in cui il capo del governo c discetta di ristori, autodichiarazioni, affetti stabili e affini, senza rispondere ad una sola vera domanda, che peraltro quasi nessuno ha fatto.
A meno che non si considerino risposte l’uniforme litania di frasi vuote come «la situazione carceraria è all’attenzione del governo” o le “soluzioni che richiedano una chiara connotazione politica sono all’ordine del giorno e dovremo discuterle tutti insieme». Fino all’annosa questione del federalismo «in prospettiva futura si può lavorare secondo me all’autonomia differenziata, a decentrare alcune attività amministrative e potenziare da questo punto di vista anche, come dire, le competenze regionali, ma nello stesso tempo, a futura memoria, dobbiamo anche dotarci di un sistema che quando ci sono delle sfide così complessive per tutta la comunità nazionale un meccanismo di coordinamento più efficace ci dev’essere». Quando è evidente che uno dei problemi maggiori che abbiamo è il famigerato titolo quinto, con i suoi continui conflitti di competenze e scarichi conseguenti di responsabilità tra Regioni e Governo. Brillante lascito del Pd. Del resto sarebbe ingiusto attribuire al solo Premier questo linguaggio diciamo vuotamente rassicurante, vista la pessima prova che ha dato di sé l’intera classe dirigente, dal Presidente Inps, al Presidente Anpal, quello dei navigator, ai commissari come Borrelli, che sosteneva che non era necessaria la mascherina, purché si rispettassero le distanze sociali. Una cosa possiamo dire, che se era impossibile rispettare le distanze fisiche nelle metropolitane, certamente le distanze sociali sono state rispettate, anzi sono aumentate, non solo quelle tra ricchi e poveri, ma anche quelle tra garantiti e non. Probabilmente servirebbe una nuova unità nazionale, un governo che cambiasse il Paese, che distinguesse tra debito buono e debito inutile, ma forse Giuseppi Conte è davvero l’avvocato del popolo, forse è davvero in sintonia con un Paese che ha più paura di cambiare, che del Covid, opposizioni comprese. Anche se più che l’avvocato del popolo sembra rappresentare la vera cifra di un’intera classe dirigente capace di difendere solo i suoi privilegi, ben rappresentata da Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione presso il Ministero della Salute, quando dichiara a radio Radicale: «Abbiamo il calendario vaccinale più bello d’Europa e forse del mondo». Le terapie di conforto sono importanti, ma servono solo a morire.
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