Massimo Cacciari, filoso, ex sindaco di Venezia, è da sempre una delle voci più critiche del centrosinistra.
Lo abbiamo sentito per fare il punto sulla crisi dell’Italia e su quella del Partito democratico che nonostante la gravità del momento e la “mancata vittoria” alle ultime elezioni continua ad essere lacerato dagli scontri tra le sue diverse anime interne.
Professore cosa significa secondo lei essere di sinistra e di destra nel 2013?
Cosa distingue gli uni dagli altri? “Non lo so proprio. Non lo sapevo neanche nel 1980 si figuri se lo so adesso. Sono distinzioni che non significano più nulla in quanto prive di ogni riferimento reale. Oggi più che mai occorre discutere nel merito le diverse questioni. Per esempio, che posizione abbiamo sullo Stato sociale? Sulla politica estera e sull’Europa? E così via. Per avere una posizione è necessario conoscere e diventare competenti attraverso una informazione seria e rigorosa. Questo vale in particolare per i giovani che aspirano a diventare classe dirigente. Le etichette di una volta, destra sinistra, sopra sotto, non contano più assolutamente nulla”.
Giustamente parla di entrare nel merito delle diverse questioni. Lei ha capito quale è la proposta del Pd per uscire dalla crisi?
“Il Pd non è un partito. E’ un insieme di componenti che sono culturalmente, e direi anche antropologicamente, differenti. Queste anime cercano invano una linea e una strategia uniforme che a mio avviso non troveranno mai. Quindi è difficile stabilire la strategia del Partito democratico. A grosso modo possiamo capire la posizione di Letta, quella di Bersani, quella di Renzi ma nessuno è in grado di capire quella complessiva del partito”.
Secondo lei è meglio che il partito si divida o che prosegua nella ricerca di una linea comune?
“Dipende da quello che intendiamo per meglio. Se ragioniamo in ottica elettorale è meglio una divisione razionale e ragionevole nelle diverse componenti, perché se il Pd si presenterà alle prossime elezioni come un pseudo partito prenderà una sonora batosta. Se invece pensiamo al Paese e alla situazione tragica che sta attraversando allora un collasso del Pd potrebbe rendere ancora più disastrosa la crisi attuale perché, bene o male, è il partito su cui si regge l’attuale governo, che è l’unico possibile oggi per l’Italia”.
All’indomani della sconfitta elettorale, lo scorso febbraio, ha dichiarato che il Pd aveva sbagliato a non candidare Renzi. E’ ancora di questa idea?
“Certo. Era chiaro ed evidente che Renzi avrebbe avuto molte più chance di vincere e che avrebbe vinto. Probabilmente Berlusconi non sarebbe nemmeno sceso in campo. Però il gruppo dirigente del Partito democratico, che non è certo renziano, pensava di vincere comunque e quindi perché regalargli la vittoria? Io credo che Renzi sia ancora la carta che ha le maggiori possibilità di successo ma non è più la novità di prima. Anche lui incomincia ad essere logorato dal perenne conflitto interno. Non ha più quella presenza fresca e giovane di un anno e mezzo fa”.
Una parte del Pd, soprattutto quella post comunista, teme che con Renzi il partito si sposti troppo su posizioni liberali. E’ una paura giustificata?
“Renzi è certamente una persona politica che non ha nulla a che fare con le posizioni di una certa socialdemocrazia e di una certa sinistra post comunista che ha rapporti molto critici con la Cgil ecc.ecc. Questo è evidente. Ma questa non deve essere una paura semmai il contrario, perché è un bene mettere in discussione il radicamento con questo passato che è passato da tutti i punti di vista. Questa è la parte positiva della personalità di Renzi. La parte negativa è la sua retorica altrettanto arcaica di quella della Cgil, il suo atteggiamento demagogico. Io credo che in una situazione come l’attuale è molto meglio avere Letta al governo che non Renzi, però in una situazione più normale potrebbe funzionare anche il sindaco di Firenze”.
Mi sembra di capire che secondo lei l’Italia ha bisogno di una riforma liberale per ripartire.
“Certo che ha bisogno di una riforma liberale che non centra niente con il liberismo. Bisogna sbaraccare tutte le corporazioni, tutte le caste di questo mondo che non sono soltanto quella politica. Bisogna fare un autentico federalismo. Una rivoluzione liberale occorre più che mai. Che sia Renzi a poterla interpretare staremo a vedere. Speriamo”.
Questa riforma liberale può arrivare dalla destra?
“No perché la destra italiana non ha nulla di liberale come dimostrano dalla mattina alla sera. Ha semmai molto di liberista alla Reagan, alla Thatcher. Vecchie ricette che non servono a nulla nel mondo contemporaneo. Ma anche la destra è tutto e l’opposto di tutto. Se davanti a questo Pd lacerato ci fosse una destra vera sarebbe un bene perché ci sarebbe una alternativa. Il problema è che sinistra e destra sono speculari nel nostro paese. Sono entrambi degli agglomerati occasionali di forze, di culture, di correnti incapaci di fare sistema. Questo è un risultato evidente negli ultimi anni sia a sinistra che a destra. Questo è il dramma dell’Italia”.
Che fare? Come si esce da questo quadro sconfortante?
“La speranza è che arrivi una generazione in grado di rimescolare le carte e far emergere un polo aggregante riformatore ed innovatore capace di combinare il meglio del centrosinistra con quello del centrodestra. Purtroppo però i giovani che ho visto apparire sulla scena attraverso il Movimento 5 stelle e anche attraverso il Partito democratico sono una delusione. Sono più vecchi e decrepiti di quello che potrebbe essere oggi un mio trisavolo”.
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