Boris Johnson trionfa e realizzerà la Brexit.

Di Andrea Fioravanti

Dieci punti percentuali di distacco e 86 seggi in più dei laburisti. Il trionfo di Boris Johnson alle elezioni del Regno Unito col 43% dei voti si può riassumere in tre parole: «Get Brexit done». Realizzare la Brexit. Una singola promessa pragmatica per soddisfare un popolo frustrato da tre anni e mezzo d’incertezza. Dal referendum del 23 giugno 2016 sono passati 1267 giorni che hanno eroso la credibilità degli inglesi nel mondo. Quasi 181 settimane di confusione politica tra negoziazioni infinite con la commissione europea, due accordi contestati, decine di bocciature in Parlamento, un tentativo di sovvertire le regole democratiche e tre elezioni in quattro anni. Troppo tempo sprecato per un popolo abituato ad apprezzare l’essenziale. Il premier uscente ha vinto la sua scommessa: rinnovare il Parlamento ostile per far uscire il Regno Unito dall’Unione europea una volta per tutte. Lo ha fatto in modo inedito, con una campagna elettorale di basso profilo in cui ha evitato il confronto con i principali giornalisti televisivi. L’obiettivo era evitare che il pubblico si concentrasse sulle tante contraddizioni e gaffe della sua carriera politica. Ci è riuscito anche con qualche operazione simpatia di dubbio gusto.

Chi non ha capito il sentimento della maggioranza degli inglesi è stato Jeremy Corbyn, il vero sconfitto di queste elezioni. Il leader del partito laburista non ha perso per solo per colpa suo programma statalista fatto di nazionalizzazioni, tasse e una settimana lavorativa di quattro giorni che ha attirato una parte dei giovani e delle fasce più povere della società, ma non il ceto medio. Ha perso perché ha promesso di voler negoziare con Bruxelles un altro accordo, il terzo in tre anni, e d’indire poi un secondo referendum per decidere se rimanere o meno nell’Unione europea. Tradotto: altri mesi, forse anni d’incertezza che nessuno nel Regno Unito vuole più vivere. E così Corbyn ha sprecato l’occasione di battere il leader conservatore meno popolare degli ultimi 40 anni, ancora meno dei poco amati Theresa May e John Major. Ieri il leader labour ha ottenuto 202 seggi. Un dato rilevante, ma 60 deputati in meno delle elezioni del 2017 in cui era arrivato al 40%, a due punti percentuali dalla vittoria. Almeno fino al 2024 i laburisti resteranno all’opposizione. Dal 2010 non riescono a esprimere un premier (Gordon Brown). Corbyn ha già dichiarato che non guiderà il partito alle prossime elezioni ma rimarrà in carica per un «periodo di riflessione», in attesa del suo successore. La sinistra inglese dovrà capire cosa fare da grande. E il tanto criticato Tony Blair con la sua terza via rimane l’unico laburista ad aver vinto le elezioni dal 1979 a oggi. Quarant’anni.

Per avere a maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni Johnson aveva bisogno di vincere almeno con 7 punti di vantaggio sul secondo. Ha ottenuto 86 seggi di vantaggio, 45 in più delle disastrose elezioni vinte per un soffio da May. Non sono bastate le singole campagne spontanee in tutto il Regno Unito per sostenere il partito con più chance di battere il candidato conservatore in ognuno dei 650 collegi elettorali dove viene eletto solo il primo più votato. Sarebbero bastati 40mila elettori in 36 collegi per negare ai conservatori la maggioranza. Non è successo. Dal 1923 non si era mai votato a dicembre ma rispetto agli anni passati, nei social sono apparse le foto di code ai seggi dove di solito non si vedeva un’anima. Anche nel referendum del 2016 c’era stata un’ampia partecipazione di chi di solito si astiene dal voto. E ora come allora ha vinto la Brexit. L’affluenza è stata del 66,7%, molto alta, anche se due punti in meno di quella delle elezioni del 2017 (68,7%, la più alta dal 1997). Il partito conservatore ha vinto 368 seggi, 36 in più della maggioranza assoluta. E il sistema elettorale del Regno Unito ha lasciato le briciole agli altri partiti.

La Scozia è rimasto però il fortino del Scottish National Party che ha fatto quasi en-plein dei collegi, ottenendo 55 seggi su 59 con solo il 4% dei voti su base nazionale. L’ennesimo successo elettorale di Nicola Sturgeon alla guida del Snp che ha riconquistato i 20 seggi perduti dopo le elezioni del 2017. Ha dato la mazzata decisiva per le speranze di vittoria di Corbyn. Un tempo la Scozia votata laburisti o liberaldemocratici. Dopo aver perso il referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, per reazione l’Snp è diventato il primo partito. Con un risultato così torneranno alla carica per ottenere da Westminster un secondo referendum per secedere dal Regno Unito. I Lib-Dem, sono i secondi sconfitti di queste elezioni. Sono la terza forza del Regno Unito con il 10% dei voti, ma il sistema elettorale inglese non premia i partiti piccoli, e anche questa volta non ha fatto eccezione. Addirittura la 39enne leader Jo Swinson che ha basato la campagna elettorale sul cancellare il risultato della Brexit e indire un secondo referendum per mantenere il Regno Unito nell’Unione europea, non è stata rieletta per 149 voti (Youtrend) nel collegio scozzese di East Dunbartonshire, sconfitta da una deputata del Snp. Si è sgonfiato anche il Brexit Party di Nigel Farage che alle elezioni europee del 23 maggio era arrivato primo con il 30% e oggi non è riuscito ad eleggere nemmeno un candidato. I voti di protesta contro l’inconcludenza dei politici nel realizzare la Brexit sono finiti tutti al partito conservatore.

«Get Brexit done», dicevamo. Bojo è riuscito a far sparire dietro questo slogan i tagli alla sanità e ai servizi fatti dai governi tories dal 2010 a oggi. Ora però inizia la nuova partita: realizzare la promessa. L’accordo con Bruxelles è già stato firmato. Il Parlamento a maggioranza conservatore dovrà approvarlo. Il Regno Unito uscirà dall’Unione europea il 31 gennaio del 2020 e fino al 31 dicembre del prossimo anno dovrà sottostare alle regole europee. In dodici mesi dovrà negoziare con Bruxelles tutti i dettagli del futuro rapporto commerciale tra Regno Unito e Ue. Agricoltura, pesca, sicurezza, servizi finanziari. L’accordo su questi temi decisivi si baserà su dettagli microscopici che non si possono affrontare in pochi mesi. L’Unione europea ha dimostrato già di essere un osso duro. Per negoziare il Ceta con il Canada ci ha messo cinque anni, sei per l’accordo di partenariato con il Giappone, quasi dieci anni per l’accordo di libero scambio con Singapore. Siamo sicuri che Johnson riuscirà in meno di un anno a fare quello che altri Stati hanno ottenuto dopo molto tempo? Intanto la Brexit è assicurata, il resto si vedrà.

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