All’indomani della rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, per comprenderne a pieno la grandezza culturale e teologica, ritengo sia necessario tornare con la memoria allo storico discorso che il Papa tenne nell’Università di Ratisbona, in Germania.
Alcuni commentatori sostennero allora che il Papa avrebbe dovuto evitare di citare l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, nel contesto di un discorso che riguardava il cristianesimo e l’islam. Una osservazione che, a mio avviso, non aveva e non ha ragione d’essere, in quanto basta leggere le parole di valore umanistico ed universale espresse da Manuele II per comprenderne il valore e la pregnante attualità.
Così scrive infatti l’imperatore, formatosi sotto l’influenza della filosofia greca: “Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi dunque vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia”.
Qualunque persona ragionevole e di senno dovrebbe far sue queste parole che invitano a far primeggiare la ragione sull’imposizione. E’ il prof. Theodore Khoury, citato anch’esso da Papa Ratzinger, a notare che, “mentre per l’imperatore bizantino, cresciuto nella filosofia greca, era naturale pensare che agire senza ragione è contrario alla natura di Dio, per la dottrina musulmana invece Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”.
Una impostazione teologica, quella musulmana, in verità, fatta propria anche da cattolici come il francescano Duns Scoto secondo il quale la volontà di Dio è volontà assoluta (voluntas ordinata) e, in quanto tale, non può essere compresa dall’uomo attraverso l’uso della ragione.
Una dissertazione teologica e filosofica che esprime tesi condivisibili o meno e che potrebbero essere oggetto di una discussione accademica in una Università, ma che non offende nessuno, tanto meno i musulmani. Alcuni politici cattolici, ma anche a certi autorevoli esponenti della Curia romana, anziché difendere il diritto di espressione del Pontefice e della Chiesa cattolica romana, replicarono allora all’attacco violento e senza precedenti condotto contro di lui, da Stati a prevalenza musulmana e da Autorità religiose musulmane, sostenendo l’inopportunità del discorso papale: a mio avviso però sbagliarono, in quanto un atteggiamento remissivo non aiuta il dialogo fra le diverse confessioni religiose.
Un dialogo può reggersi solo sul reciproco rispetto e non sulle minacce e le intimidazioni, altrimenti non è più tale e si trasforma in atto di sottomissione della Chiesa cattolica alla verità totalizzante dell’islam e ciò è inaccettabile. Nel discorso di Ratisbona vi è un passaggio che mi sembra centrale nel pensiero di Ratzinger.
Il Papa, infatti, si chiese: “La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io credo che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia”.
Ritengo che questo richiamo al rapporto fra la ragione e la natura di Dio sia particolarmente significativo in quanto, pur riferendosi a concetti già espressi da Sant’Agostino, nella sua “De gratia et libero arbitrio”, e da San Tommaso d’Aquino, nella sua “Summa Theologiae”, ne sottolinea l’estrema attualità per tutto il mondo religioso.
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