Facciamola finita con la mitologia molesta da cinema. Coloro che ci curano, anche in questa emergenza coronavirus, sono coraggiosi e ottimi professionisti. Dovevamo ricordarlo anche davanti ai tagli miliardari fatti alla sanità pubblica.
Distanza sociale. O social distancing. Non c’è espressione forse più impropria e infelice per richiamare la necessità anti-contagio di tenersi a debita distanza.
Perché correttamente, scrive Fran Korten sulla rivista Yes!, si dovrebbe dire phisical distancing, distanza fisica, essendo viceversa indispensabile, oggi più che mai, la “vicinanza sociale”.
Certo non possiamo stringerci la mano, abbracciarci, trovarci in gruppo. «Ma socialmente è ora il momento di stare, insieme, uniti», scrive Korten. «E con le nostre tecnologie è possibile».
STIAMO SPERIMENTANDO UNA NUOVA SOCIALITÀ ONLINE
C’è infatti la Messa su YouTube e il flash mob musicale di giovedì che ha coinvolto tutte le radio italiane, la cena Facebook e il game in compagnia. Ma sui giochi in Rete, fra più giocatori e con un pubblico, c’è una consuetudine e una letteratura, abbastanza uniche, soprattutto fra giovani e giovanissimi. Fortnite è forse l’esempio più noto, anche per i casi di dipendenza che ha generato.
Tuttavia in tutti gli altri ambiti le potenzialità sociali e socializzanti della Rete le stiamo sperimentando col coronavirus. Suona male dire che senza la pandemia saremmo ancora lì a utlizzare Skype per salutare mamma, papà, il figlio o la fidanzata in occasione delle vacanze o perché all’estero. Però è la verità. Senza l’impossibilità di fare lezioni dal vivo anche all’università, che dovrebbe essere un luogo tecnologicamente avanzato, le video lezioni non sarebbero cominciate su larga scala. Ma stando strettamente al tema sociale sono rilevanti anzitutto le resistenze al cambiamento. Incarnate al massimo livello e nel modo peggiore dai nostri parlamentari, che nemmeno prendono in considerazione la possibilità di continuare a lavorare in connessione. Di partecipare a sessioni parlamentari online, attivando procedure di condivisione dei testi e di votazione per via telematica. D’altra parte se si gioca al lotto e si pagano le bollette online non si capisce perché, in emergernza, non ci possa essere il videocall parlamentare. O meglio si capisce che la gran parte dei deputati e senatori potrebbero farlo solo avendo un assistente. Un tecno-badante.
DA SOSPESI TRA L’OFF E L’ON MA ON LIFE
La gran parte di noi fatica molto a convincersi che la pandemia non comporta solo un rottura traumatica con il presente e la realtà sin qui vissuti, ma è un acceleratore e in qualche modo un giustiziere di comportamenti e pensieri che terminata la pandemia non avranno quasi più luoghi e occasioni per manifestarsi. In altre parole il post coronavirus inaugurerà una nuova e molto diversa fase sociale. Che ci chiede di allineare la nostra vita fisica, reale, dal vivo a quella virtuale, online, connessa. Non più mondi ed esistenze, anche professionali, separati, ma viceversa intrecciati. Non più vite sospese tra l’off e l’on, ma On life, come ha scritto Luciano Floridi in La quarta rivoluzione.
ANCHE QUESTA MALATTIA PUÒ ESSERE METAFORA
Se qualcuno avesse però dubbi sul fatto che Covid-19 sia espressione non aliena, anzi coerente, di un sistema che ha finito il suo ciclo, che non sta più insieme, consideri quanto in quest’ultimo decennio il termine “virale” sia entrato nel linguaggio quotidiano. Definendo un meme, un video di Youtube, una moda o un comportamento cretino, in grado di diffondersi in pochissimo tempo in tutto il Pianeta. Voglio dire che il coronavirus è l’espressione patologica, non aliena ma puntuale del nostro tempo, del nostro sistema (ammalato) di vita: frenetico, eccessivo, distruttivo. Vengono in mente due celebri libri di Susan Sontag, dedicati a cancro e Hiv: La malattia come metafora.
LA RETORICA DEGLI EROI E DEGLI ANGELI
Perché anche nel caso del coronavirus la metafora del nemico subdolo e invisibile, velocissimo e impietoso si impone su tutto. Generando anche altre mitologie, fra le quali le più moleste hanno come protagonisti gli eroi e gli angeli incarnati da infermieri, medici e personale paramedico. Nel primo caso è evidente la derivazione cinematografica e pubblicitaria, due mondi in cui i supereroi si sprecano e l’eroismo è messo al servizio anche di merendine e banalissime azioni quotidiane. Il riferimento agli angeli è invece il retaggio di una moda che ha imperversato a partire dalla fine degli Anni 90 con la diffusione di movimenti di “nuova spiritualità”. In entrambi i casi credo basterebbe chiamarli coraggiosi e ottimi professionisti. Però ricordandosi che negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 37 miliardi alla sanità pubblica, sono stati chiusi quasi tutti gli ospedali minori e gli infermieri italiani sono i peggio pagati in Europa.
«Uno stomachevole buonismo», lo definisce il professor Fabrizio Magnolfi ex primario e direttore negli ospedali e azienda sanitaria di Arezzo. Che non è solo dei politici, ma anche dei media, che hanno enfatizzato in questi anni ogni caso di malasanità, e dei cittadini che hanno pure assediato i pronto soccorso, assaltato le autoambulanze e accusato i medici di ogni colpa. «Ogni anno vengono intentate 35 mila nuove azioni legali contro i medici; a oggi ne sono attive 300 mila; il 95% si conclude con il proscioglimento».
#TUTTOANDRÀBENE, MA LA PAURA CRESCE
La retoriche del buonismo (deteriore) sono in azione su larga scala. Ma la realtà è sempre più forte e spietata delle buone intenzioni e dei buoni sentimenti. Coi quali come ha scritto André Gide «si fa della cattiva letteratura». Perché certo #iorestoacasa, facendo musica dai balconi e lanciando sui social un ottimistico #tuttoandràbene, ma la paura è più forte e monta velocemente. Nonostante i tanti inviti alla calma, tra i quali uno dei migliori è dell’autorevole Wine Spectator: «Stare al sicuro in casa con una buona bottiglia di vino italiano è la cosa più intelligente da fare».
Era preoccupato il 20% degli italiani lo scorso 20 gennaio, quando il coronavirus sembrava lontano, remoto, ma il 19 marzo, secondo il sondaggio di Mediapolis per Tg3 Notte, la percentuale è salita all’88%. Siamo quindi entrati in una fase di pericolosa saturazione. Nella quale si segnala in Italia la discesa in strada dell’esercito e in alcuni Stati americani la corsa all’acquisto di armi, per il timore che il 911 vada in tilt e le forze di polizia non siano in grado di rispondere alle chiamate dei cittadini. In questa prospettiva dobbiamo anche avere consapevolezza che stiamo chiedendo a tutti noi di fare ciò che sino a ieri era impossibile. Ovvero non muoversi e stare chiusi in casa. Dedicandosi a passatempi e attività, come la lettura, normalmente disdegnati dalla maggioranza degli italiani. Ciò per dire che se la situazione non dovesse allentarsi un po’, presto sorgerebbero grossi problemi di ordine pubblico. Che solo mettendoli in conto e considerandoli seriamente riusciremo a scongiurare.
PREPARIAMOCI ALL’INSTABILITÀ DI OGNI DOPOGUERRA
Allo stesso modo sarà bene ricordare e ripetere, con la stessa insistenza con le quali siamo invitati a lavarci spesso le mani, che il post coronavirus sarà ancor più drammatico. Come ogni dopoguerra. Dobbiamo essere pronti a un periodo di grande rischio e instabilità. Perché questa emergenza, peraltro in pieno corso, già ne lascia intravvedere altre vicine. Quella immediatamente economica e finanziaria e a seguire quella climatica e del lavoro che sta sparendo. Insomma sfide epocali che dobbiamo affrontare con coraggio e ottimismo, ma soprattutto ritrovando e praticando quell’umanità e socialità che da parecchi decenni sono sciaguratamente in fondo alla lista dei valori e dei sentimenti che riteniamo più importanti.
Da Lettera 43
Devi accedere per postare un commento.