Ascesa e disfatta del terzo polo

Di Dario Caselli

La sintesi sul naufragio del cosiddetto Terzo Polo è che entrambi i protagonisti, Renzi e Calenda, hanno fatto saltare il partito unitario, accusando l’altro di essere il responsabile. Non che fosse un progetto in grado di cambiare l’Italia, ma aveva acceso speranze e si era pure ritagliato un certo spazio. Le dichiarazioni contenute di Renzi e quelle scomposte di Calenda, disegnano il profilo dei due protagonisti: un genio tattico il primo, un dilettante politico il secondo.

 Renzi non è contrario al partito unitario, vuole solo arrivarci con più cautela, preferibilmente dopo le elezioni europee, dove pensa di battere Calenda, magari approfittando della crisi dinastica di Forza Italia. Non pochi lo vedono infatti come il successore migliore di Berlusconi che agisce  senza rinunciare a una certa autonomia operativa, in cui si esalta il suo genio tattico. Ovviamente Calenda non se l’è sentita di far nascere un nuovo partito, unitario soltanto sulla carta, ma in realtà destinato a inseguire le acrobazie politiche di Renzi e la maggiore esperienza locale e nazionale dei dirigenti di Italia Viva rispetto a quelli di Azione, inoltre ha sentito minacciata la sua leadership dalla candidatura di Marattin. Renzi poi può guidare un partito da dietro le quinte, Calenda no, perché è troppo egocentrico e tatticamente disastroso. Lo spostamento a sinistra del Pd avrebbe dovuto accelerare la fusione, ma ha fatto esplodere la questione della doppia leadership, una delle quali un po’ dentro e un po’ fuori il partito. Così siamo arrivati al gioco del cerino, con cui Renzi e Calenda hanno vicendevolmente provato a scaricare sull’altro il fallimento del progetto unitario, in una commedia degli insulti e delle bassezze, che li rende entrambi inadatti a guidare il processo, ma che brucia principalmente Calenda.

Oggi che è tutto naufragato, restano i gruppi parlamentari comuni, i quali rimarranno tali perché nessuno dei due partiti può costituire un gruppo parlamentare autonomo. Allo stesso tempo, Italia Viva e Azione da soli difficilmente avranno i numeri per superare lo sbarramento del quattro per cento alle Europee del 2024. Il paradosso è che, nonostante il naufragio e gli improperi che seguiranno, Italia viva, Azione e probabilmente anche Più Europa saranno comunque costretti a fare tardi e male una lista comune alle Europee, come da idea originaria di Renzi e di Più Europa, ma senza un progetto politico comune, senza una visione comune che non sia l’obbiettivo della sopravvivenza. Come ha subito capito Mara Carfagna, la strada è questa: una federazione in attesa di tempi migliori, per far sopravvivere una prospettiva che, nonostante tutto è ancora necessaria. Nel mentre si rafforza il Pd di Elly che gode i vantaggi dello spostamento a sinistra, erodendo i 5 Stelle e recuperando i delusi del terzo polo. Almeno fino alle Europee, dove il voto è più libero, non essendoci da presentare un difficile programma di governo, come sta sperimentando la Meloni, ma avendo solo slogan, come: porte aperte all’immigrazione, diritti civili (soprattutto della zona delle mutande), atlantismo di facciata, ma antiamericanismo di sostanza e un ambientalismo dove il cielo è sempre più blu, che non deve rispondere dei costi economici e sociali di una transizione veloce. Diverso sarà il discorso alle elezioni politiche e per quella partita il terzo polo avrebbe molte carte da giocare, sempre che sia ancora vivo.

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