Andrò a votare per un referendum che non passerà. Troppi vogliono che non passi. Troppi hanno forcato per eliminarlo e brigato perché non se ne parli. Non si parli ad esempio del fatto che nessuno assicura le piattaforme dai danni che creano e dai disastri che possono creare. Soprattutto quelle fuori delle acque territoriali (che “casualmente” non rientrano nel referendum). Nessuno vuole che si dica che le regioni riscuotono le provvigioni di estrazione, ma poi non possono decidere se far estrarre o meno. Nessuno vuole che si parli del fatto che le provvigioni delle nuove concessioni sono del 10% e la media nelle altre nazioni è sopra il 30%, per arrivare sino a 90. Nessuno vuole ricordare che il greggio estratto annualmente equivale a 10 giorni del consumo nazionale. Nessuno vuole ricordare che questo referendum ci costerà 300 milioni e si poteva accorpare alle altre elezioni di primavera con un risparmio sicuramente cospicuo. Nessuno vuole dire che i posti di lavoro in gioco sono qualche centinaio sulle piattaforme in oggetto e circa centomila sulla costa e il rischio è quindi di 1 a 1000 e forse il gioco non vale la candela. Ma questo è un conto troppo arduo per i nostri politici e i nostri sindacati (di categoria, si fa per dire). Nessuno vuol parlare di tutte le concessioni che ai petrolieri (italiani ed esteri) abbiamo fatto e facciamo. Nessuno si chiede perché glieli facciamo. Forse perché sono belli? O simpatici? O forse perché sono “riconoscenti”. Ecco perché andrò a votare. Perché sono stufo dell’arroganza della politica, della disinformazione costante. Dei silenzi colpevoli. E anche con la speranza che ci si renda conto che le vacche sono sempre magre per noi, grasse per loro. Con buona pace dei sogni del faraone e delle interpretazioni di Giuseppe.