Amministratori sinistri

20090831-VIGNETTA Una volta c’era il mito, anche per i DC, dell’amministrazione comunista invisa politicamente, ma onesta ed efficiente. Erano i tempi in cui per essere di sinistra dovevi primeggiare nel lavoro, avere vizi moderati e una famiglia modello (figlie e mogli di larghe vedute e di strette gambe). Poi venne il 68, ma tutto andò in vacca, perché prima le borghesi e poi anche le compagne allentarono la stretta. Niente fu più come prima e soprattutto i socialisti, da sempre un po’ i fancazzisti di sinistra, mandarono a puttane anche la supremazia lavorativa.

A caduta si capì che inciuciare con terreni, concessioni edilizie, piani regolatori, portava quantità di denaro inconcepibili. Un po’ come quando la mafia passò dalle sigarette di contrabbando, alla droga: erano, ma guarda la coincidenza, gli stessi anni. E c’era spazio per far crescere le cooperative, quindi i dirigenti delle medesime e allora vai, alla grande! Craxi fu il canto del cigno di quel sistema e non l’apoteosi. Così i fantastici sindaci comunisti diventarono pdiessini e poi diessini e comunque lo stampino si era rotto e ci ritroviamo con quelli di oggi. Parliamone.

Marino. Sindaco di Roma, professore universitario, non appartenente, in maniera plateale, ad un carrozzone. Ha problemi immensi da risolvere e vorrei ben vedere, dopo Alemanno al Comune e la Polverini alla Regione. Mi aspettavo che chiamasse un po’ di ignoti efficienti, anche non italiani, per vedere che fare tra servizi pubblici, amministrazione e soprattutto rifiuti: occhio, Roma è una polveriera più grande di Napoli. Invece il poverello chiama per i rifiuti un solito noto, con competenze  ma era  indagato. Risultato : mandato a casa e figura di merda, come primo atto non è andata male.  

Cialente. Sindaco dell’Aquila, primario stimatissimo, anche lui non allineatissimo. Ha problemi terrificanti da risolvere : una città da ricostruire con soldi che non arrivano e se arrivassero sarebbero ridicoli, rispetto a quelli dati per il Belice. Prima scopre che c’è una banda  che è contenta perché i guai dell’Aquila per loro sono quattrini, e che questi siedono al suo fianco e fanno per lui, poi decide di dimettersi, schifato, anzi no, resta. Ha sbagliato i tempi, doveva restare, invocare la legge di Lynch e poi dimettersi, visto che scegliersi la squadra non è il suo mestiere e farne tesoro anche quando tornerà (ma tornerà ?) a fare il primario.

Delrio. Sindaco di Reggio Emilia, medico e allenatore di calcio, lui sì, allineatissimo. Prima contro Castagnetti per essere eletto, poi come eletto ipercastagnettiano,  ha navigato nel pd senza dare fastidio, sorridendo a tutti e non parlando mai, ha rimediato la presidenza dell’Anci, non ha lasciato segni, però è diventato, ma dopo la seconda Leopolda, renziano, per questo l’hanno fatto ministro e come tale ha fatto. Questo è il suo problema. Infatti rispetto agli altri due, amministrava una città tranquilla, sino a cinque anni fa ricca, tra le più d’Italia, con l’unico difetto di essere stata passata al pettine fino, da una banda (un terzo politici, un terzo imprenditori, un terzo ‘ndranghetisti). Sarebbe bastato saper fare, alzare la voce, sbattere qualche porta e liberare qualche scrivania. Ma il nostro, allevato nella filosofia manzoniana (tra il conte zio e don Abbondio) non ha fatto niente, tranne dare consulenze a qualche amico. E così la sua riforma delle Province è talmente inutile, che anche i giornali fanno fatica a commentarla, anche perché è una finta (di finte, come allenatore di calcio se ne intende), sì, qualcosa da dare in pasto ai media quando non c’è niente altro, perché siamo pur sempre il governo del fare, oibò

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