Il caos denunciato da tutti i media sulla nuova imposta comunale sugli immobili, Imu, è stato temporaneamente allontanato dal governo con la saggia decisione di far pagare l’acconto sull’aliquota base.
Le differenze comunali potranno così essere decise nei prossimi mesi, in tempo per il saldo di dicembre. Rimane però la manifestazione di una pesante incertezza che in vari modi pesa sul rapporto tributario.C’è al riguardo una recente lettera aperta dei commercialisti italiani al Governo che mette sotto accusa con parole forti e abbondanza di riferimenti una normativa fiscale mutevole e a volte contraddittoria, che rende faticosi e incerti gli adempimenti fiscali: termini prorogati all’ultimo momento o indicazioni che arrivano solo un attimo prima della scadenza; contraddizioni tra decreti ministeriali e modulistica fiscale; compensazioni tra debiti tributari e crediti commerciali verso gli enti pubblici che non si attuano perché manca ancora il regolamento di una legge del 2010 (nonostante sia un tema cruciale in un’epoca che vede imprenditori suicidarsi perché lo Stato non paga loro il dovuto).
La burocrazia sembra aiutare il Governo e il Parlamento a complicare le cose, dato che “l’Agenzia delle Entrate ha adottato provvedimenti, diramato circolari e comunicati stampa che, a volte, hanno contribuito ad aumentare lo stato d’incertezza e confusione generato dalla ormai quotidiana produzione di norme in materia tributaria”. Si sa, a discolpa del Governo, che il Paese è sottoposto a una legislazione quasi di emergenza, nel tentativo di trovare subito la ricetta del risanamento della finanza pubblica e del rilancio economico.
Ma il Governo deve a sua volta sapere che un ingrediente essenziale di tale ricetta è una legislazione chiara, semplice e stabile: su ogni fronte, ma in particolare su quello tributario che costituisce il canale più delicato e controverso dei rapporti tra Stato e cittadino. Lo affermava già Adam Smith nel 1776 , indagando sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Tra i fondamenti economici dell’economia di mercato e dello Stato liberale egli enunciava la regola: “L’imposta che ogni individuo è tenuto a pagare deve essere certa e non arbitraria”. Altrimenti si produce una duplice ferita nella società: un inutile costo economico, aggiuntivo al prelievo e rappresentato da quanto il contribuente deve spendere in tempo e denaro per ben capire e saldare il debito tributario; e soprattutto un degrado etico.
Per dirla con le parole di Smith, in mancanza di chiarezza e semplicità “ogni persona soggetta all’imposta è più o meno sottoposta all’arbitrio dell’esattore, il quale può aggravare l’imposta su un contribuente cui vuole nuocere o può estorcergli, con il timore di questo aggravamento, qualche regalia o vantaggio per se stesso”.
Non siamo più nelle mani di esattori onnipotenti e rapaci. Lo stato di diritto assicura il contribuente che alla fine vedrà riconosciute le sue ragioni. Alla fine, appunto. Ma a quali costi?
E superando quali tentazioni per non incorrere in tali costi?
Un Paese che è primo nell’evasione fiscale ed è al 69° posto nella graduatoria internazionale della corruzione e in cui molti cittadini lamentano di dover corrompere pubblici funzionari solo per ottenere quanto gli spetta, deve dare gran peso all’obiettivo di avere una legislazione chiara e semplice, applicata con efficienza.
Il Governo appare consapevole di tutto ciò a livello strategico, dato che ai decreti Salva Italia e Cresci Italia ha fatto seguire il decreto Semplifica Italia. Ma deve anche trovare il tempo e la volontà di seguire e migliorare tutta la catena delle disposizioni applicative, poiché in campo amministrativo e tributario il diavolo si nasconde nei dettagli.
La lettera dei commercialisti ne è l’ennesima prova, e il Governo farebbe bene a prenderla sul serio; e magari anche ad inaugurare una stagione di maggiore collaborazione sul piano tecnico con le professioni, che vanno fronteggiate quando difendono le loro rendite ma vanno ascoltate e utilizzate su questioni di bene comune.