Al Congresso di Bari la Cgil va alla conta

Per la prima volta la Cgil va alla conta per scegliere il nuovo segretario generale: il congresso che si apre il 22 gennaio a Bari vedrà andare in scena, con ogni probabilità, un testa a testa tra Maurizio Landini e Vincenzo Colla. Ogni trattativa in corso in queste ore per trovare un’intesa che eviti la spaccatura non ha finora dato esiti soddisfacenti e tutti, a questo punto, danno come sicura la presentazione di due liste contrapposte. I landiniani, off the records, si accreditano di circa un 60% dei delegati. I sostenitori di Colla, più prudenti, affermano comunque di avere una maggioranza risicata, al massimo di essere davanti a un testa a testa. Ad ogni modo, e su questo tutti concordano, è impossibile dare numeri esatti. A favore di Vincenzo Colla si sono espressi i segretari del settore Trasporti, i Pensionati, i Chimici, quelli delle Comunicazioni. A favore di Landini, oltre che Susanna Camusso e la maggioranza della segreteria uscente, c’è la Funzione pubblica, i Metalmeccanici, i Lavoratori del commercio, gli Alimentaristi, i Precari, i Bancari. Ma queste indicazioni non vincolano le scelte dei singoli delegati che, a loro volta, indicheranno i nomi per l’assemblea che poi voterà la segreteria. Il punto è se si arriverà all’assemblea con una lista unica (improbabile) o con due contrapposte. E se, una volta nominata l’assemblea, si troverà un accordo in corsa oppure sarà conta fino all’ultimo voto.

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MOVIMENTISTI CONTRO ISTITUZIONALI, MA IL NODO È LA STRATEGIA POLITICA

La vulgata dice che è una partita tra “movimentisti” per Landini contro “istituzionali” con Colla. Ma è molto più complesso di così se si pensa che, a indicare Landini, è la segreteria uscente, con Camusso in prima fila. Il modo più corretto per guardare a quello che sta succedendo è puntare gli occhi sulla politica: disgregata la sinistra, di fronte a un governo che è incapace di pensare i corpi intermedi come interlocutori accreditati, la Cgil è in cerca di una voce che sappia farsi ascoltare. Per alcuni questa voce è quella di Landini, perché segna un cambio di marcia rispetto al passato e ha un dialogo aperto con il mondo dei movimenti fuori dal sindacato. Per altri è quella di Colla, considerato per certi versi meno “avventuriero”, più esperto nel confronto con il governo (è il “papà” di industria 4.0, per la parte sindacale), e più capace di allacciare un rapporto con Cisl e Uil, considerato imprescindibile per ottenere più peso specifico. E poi c’è un problema di equilibri interni: oggi il sindacato ha cinque milioni e mezzo di iscritti, 2,5 sono pensionati. «Ma non era mai successo che i pensionati fossero determinanti nella scelta di un segretario. Oggi può essere così con Colla e sarebbe un problema», attacca Bruno Manganaro, della Fiom Cgil di Genova.

MICELI: «LANDINI NON HA SPIEGATO IL SUO RAPPORTO CON LA CGIL»

«Colla ha una solida esperienza confederale alle spalle, ha diretto il sindacato a tutti i livelli, credo che abbia uno sguardo più lungo e più largo. Maurizio Landini è un quadro che viene da un’esperienza di categoria (i metalmeccanici, ndr.), importante, solida, ma è pur sempre parziale. Non è un problema tra movimentisti e riformisti, sono etichette che esemplificano», racconta a Lettera43 Emilio Miceli, segretario della Filctem Cgil, tra i sostenitori di Colla. Il fatto è che Landini è visto ancora da alcuni come un corpo estraneo dentro la confederazione, che in passato ha criticato molto duramente. «Ma non è un problema che sia stato critico in passato, quanto che non abbia reso evidenti nel tempo i cambiamenti che lo hanno portato a ricoprire un ruolo e una funzione più generale dentro la Cgil. Quello che mi è mancato, ed è mancato a tanti, è il percorso attraverso cui Landini ha chiuso una fase di aspra contrappposizione. Non è stato spiegato da lui e nemmeno da Susanna Camusso». Il paradosso, in fondo, è proprio questo: la segreteria della Cgil uscente ha scelto, come suo alfiere, un uomo che un certo tipo di sindacato ha sempre detto di volerlo cambiare. Cambiare per non morire o eutanasia dei vecchi gruppi dirigenti? Questa è la domanda che serpeggia.

Da Lettera 43

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