L’ANALISI: L’enorme debito in dollari fuori dagli USA come possibile chiave delle decisioni FED
L’indice VIX sembra diretto verso la “croce della morte” e se così fosse meglio rimanere cauti
Come ormai noto la banca centrale americana ha lasciato invariati i tassi nell’attuale forchetta dello 0-0,25%, ovvero il valore a cui sono ormai fissati dal 2008. Una scelta che, come anticipato settimana scorsa, avrebbe potuto replicare pedissequamente la strategia adottata dall’allora Ben Bernanke nel meeting di settembre 2013, non fosse altro per le molteplici similitudini che caratterizzavano il contesto geo-politico-economico di allora e di oggi.
Nel 2013 non si interruppe il QE ed oggi non si è alzato il tasso di riferimento, segnalando allora come ora un’apparente non uniformità di opinioni tra i vari board member della FED, un ruolo di ‘pecora nera’ che allora toccò ad un solo un membro, Esther L. George ed oggi al solo Jeffrey M. Lacker.
La storia del 2013 è nota ed allora Bernanke nella sua conferenza stampa non mancò di dichiarare che «la Federal Reserve potrebbe iniziare a ridurre gli acquisti di bond entro fine anno», dichiarazioni che ricordano tanto quelle della Yellen, ovvero riferendosi all’opinione generale dei vari governatori membri del Fed, «crede che le condizioni economiche richiederanno un rialzo tassi entro la fine dell’anno».
I commenti dei media sono come allora similari, ovvero ritenere il capo della FED ostaggio dei mercati e leggere il fatto come una mancata occasione per dare segnali concreti al mercato dopo aver a lungo preparato il terreno ed orientato gli operatori. Un segnale di debolezza che i più vedono proprio nelle stesso comunicato rilasciato dalla FED ed in cui si citano “recenti sviluppi globali economici e finanziari” in grado di “frenare in qualche modo l’attività economica e di mettere ulteriore pressione al ribasso all’inflazione nel breve termine” ed ancor più avvalorato dal discorso poi tenuto dalla Yellen post decisione e dal quale è emerso che “la preoccupazione per la Cina e dei mercati emergenti ha portato volatilità sui mercati e, date le significative interconnessioni tra gli Usa e il resto del mondo, la situazione va osservata con attenzione”.
Se da una parte la ripresa americana sembra apparire sufficientemente forte da poter far credere al mercato che sia giustificato un aumento dei tassi, in un contesto assai simile a quello del 2013 per uscire dal QE, è però cambiata la motivazione dell’attesa in quanto la variabile discriminatoria sarebbe ora non più solo all’interno degli USA (crescita, disoccupazione, inflazione) ma anche all’esterno o quantomeno individuabile nell’effetto boomerang che una tale decisione potrebbe poi riservare all’economia a stelle e strisce.
Indubbiamente qualsivoglia decisione ha un effetto circolare all’interno di un sistema economico-finanziario globalizzato ma quel che conta realmente per la FED è, oltre all’interesse economico degli USA, il valore che il dollaro esercita quale valuta di riserva mondiale e che rappresenta negli equilibri globali.
Come riporta la Banca dei Regolamenti Internazionali nell’ultimo report trimestrale pubblicato, i finanziamenti in dollari americani (a fine marzo 2015) a favore di prenditori non bancari residenti al di fuori degli Stati Uniti erano pari a $9.600 miliardi, ovvero un quota superiore ad 1/6 del PIL globale escluso gli USA. Un fatto questo che è ancor più accentuato ed evidente se riferito ai paesi emergenti.
Questi ultimi, con la crisi del 2008, hanno aumentato considerevolmente le emissioni in dollari per far fronte al rallentamento post fallimento Lehman, rendendosi così di fatto ancor più “dipendenti” dalle scelte economiche americane. Una situazione che a ben ragionare ha permesso una crescente dipendenza funzionale a favore degli USA e questo è un fattore ben più importante nella scelta di alzare o meno i tassi d’interesse rispetto all’andamento economico statunitense o all’effimere quotazioni dei mercati azionari, in quanto rappresenta un’arma finanziaria assai più efficace di quelle convenzionali nel regolare i rapporti di forza geo-politici.
Rapporti che vedono sempre più i paesi BRICS desiderosi di assumere un nuovo ruolo nello scacchiere globale e sempre più indirizzati verso la costruzione di un mondo multipolare. Una transizione che però non manca di ostacoli, in primis da parte di coloro che dopo la caduta del muro di Berlino confidano di poter rimanere al timone di quel modello globalizzato eretto ed eterodiretto dal quale sono però emerse realtà economiche in grado di poter oggi alzare la voce. Un riequilibro che si sta manifestando non più e solo a parole ma nei fatti ed a partire dalla dichiarazione di Delhi di fine marzo 2012, in cui i BRICS manifestarono un “’j’accuse” nei confronti delle politiche monetarie espansive adottate dalla FED e siglarono un accordo per il finanziamento del commercio e degli investimenti in valuta locale nonché diedero l’avvio a quella che poi è diventata nota come la Banca dello Sviluppo.
Ecco dunque che in una tale prospettiva, la decisione di posticipare il rialzo dei tassi, ovvero tenersi ancora le mani libere per esercitare un’opzione in grado di influenzare significativamente gli equilibri globali, assume tutt’altro significato.
Per quanto riguarda i mercati, l’esito scontato è il nervosismo che stiamo osservando e che potrebbe trovare sfogo in una considerevole crescita della volatilità o almeno questo è quello che sembra in formazione osservando la possibile realizzazione grafica della cosiddetta “croce della morte”, ovvero un segnale di analisi tecnica che gli analisti individuano nell’incrocio di una media mobile veloce al di sotto o al di sopra di una media mobile lenta ed il cui passaggio è in genere un buon segnale a conferma di un cambio del trend. Una possibilità che dovrebbe portare il comune risparmiatore a maggior cautela e ciò nonostante le molteplici rassicurazioni che giungono dai policy maker e fin ai più semplici referenti per i propri investimenti.
FOCUS: Crisi Sistemica Globale – Estratto dal GEAB n. 97
India come ultima ‘chance’ per una transizione non distruttiva
Settimana scorsa è stato inserito sul sito www.geab.eu la parte pubblica e gratuita del report GEAB n. 97. Una pubblicazione che periodicamente riprendiamo in questa rubrica in quanto espressione di una analisi “fuori dal coro” e definita come “Crisi Sistemica Globale” dal think tank europeo Leap/2020 che la redige. L’attuale bollettino è perciò un proseguimento delle anticipazioni economico-politiche iniziate ormai nel lontano 2006 e che vertono sulla transizione del mondo occidentale verso un mondo multipolare in cui l’Europa sarebbe a rischio dell’America “dura”, ovvero di una politica statunitense volta a legare indissolubilmente USA e vecchio continente, al fine di mantenere la leadership globale. L’Europa, secondo tale think tank, si troverebbe ora trascinata in una folle strategia americana che la espone alle pressioni provenienti da tutti i poli del mondo multipolare, quali una Russia estromessa dagli affari internazionali grazie all’Ucraina, una Cina sempre più distante dal sistema monetario e finanziario internazionale grazie al rifiuto dell’FMI di integrare lo yuan, un Brasile relegato al rango di speculatore di prestiti da parte delle agenzie americane di rating che non mancherà di impattare i paesi europei più esposti ecc. Secondo tale visione, la crisi stessa indebolisce «naturalmente» tutto questo mondo ma dietro agli atti compiuti di intransigenza e di non cooperazione tra USA e BRICS potrebbe celarsi una volontà deliberata perché le cose peggiorino per tutto quello che non gravita nell’orbita americana. Fatte tali premesse, al fine di inquadrare il tipo di analisi qui ripresa, è da segnalare che per Leap2020 sarebbe il 2016 ed in particolare l’India, l’ultima speranza per mantenersi sulla via di una transizione organizzata non distruttrice e volta a catalizzare positivamente il passaggio verso il mondo multipolare da loro descritto. I motivi sarebbero molteplici quali: un paese che gode di una buona reputazione democratica, una leadership politica forte ed indipendente rappresentata dal primo ministro Narendra Modi, un immagine “politically correct” senza passati comunisti ed una storia d’indipendenza che rende difficile un boicottaggio mediatico del paese ma soprattutto, secondo tale report, vi è una grande opportunità di transizione associata alla sua prossima presidenza dei BRICS. Un ruolo che avvicinerà ancor più il paese a Russia e Cina nell’ambito della cooperazione internazionale ma che potrebbe essere in grado di costruire, sull’immagine positiva del subcontinente indiano, un’immagine positiva anche dei BRICS e quindi in grado di spazzar via ogni reticenza occidentale associata a questa evoluzione multipolare. Tale team però preferisce non formulare alcuna anticipazione sul risultato finale in quanto per loro l’India dovrà incontrare difficoltà impreviste nei prossimi mesi, se non settimane e dovrà svolgere il proprio ruolo di presidenza in un contesto di fortissime tensioni politiche che potrebbero portare al fallimento di tale “pacifica” transizione. Una analisi fuori dal coro da tenere perciò presente nei propri investimenti, non fosse altro perché l’India è stato il paese meno toccato dalle “turbolenze” finanziarie finora osservate nel famigerato quintetto di cui fa parte.
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