Volkswagen, Glencore, Petrobras: campanelli di allarme

L’ANALISI: Le grandi corporation industriali quali possibili “cigni neri” per i mercati finanziari globali

Eventuali salvataggi in stile QE arrivano sempre e solo dopo importanti “shock”

 

Nell’ultima settimana il caso Volkswagen ha indubbiamente attirato su di se non solo l’interesse dei media ma ancor più l’attenzione dei mercati finanziari, non fosse altro per l’ulteriore débâcle che gli stessi hanno vissuto e ciò nonostante il provvidenziale recupero in extremis delle quotazioni di venerdì che hanno reso meno drastica la discesa. Un argine prontamente ed apparentemente eretto, grazie alle dichiarazioni fatte dal governatore della FED durante un incontro all’università del Massachusetts. Secondo la vulgata mediatica le parole espresse dalla Yellen e riferite ad un posticipo dei tassi “più avanti nel corso dell’anno” sarebbero la fonte dell’euforia borsistica di venerdì, ovvero il pensare di aver comprato ulteriore tempo e semmai fino a dicembre.

MERCATI IN ‘FREE FALL’

Nonostante le cause vere o presunte a cui addebitare il forte ribalzo di venerdì non può e non deve sfuggire, almeno ai comuni risparmiatori, il quadro d’insieme dei mercati finanziari ovvero che dalla fine di aprile nessun investimento, fatta eccezione per la pura liquidità, ha dato rendimento positivo e per molti mercati azionari si è già in territorio “bear market”, ovvero con discese superiori al -20%.

L’effetto Volkswagen ha di fatto aggiunto l’indice tedesco alla già ampia schiera di mercati in “free fall”, quali la Cina e diversi mercati emergenti, ovvero si è unito alla caduta delle principali piazze manifatturiere del globo. Una caduta che per vie diverse sembra poter mettere a rischio, per non dire in ginocchio in caso di imprevedibili evoluzioni, un altro importante polo produttivo mondiale dopo il forte rallentamento del dragone.

La Volkswagen è di fatto l’emblema della produttività tedesca e del grande successo dell’export made in Germany ed insieme all’intero settore automobilistico ed al suo indotto rappresenta il principale fattore trainante dell’economia del paese. Un aspetto per di più consacrato anche dal recente sorpasso di Toyota nella classifica mondiale di vendite d’auto.

IL CASO VOLKSWAGEN

Lo scandalo emerso è già da più parti stato commentato ed analizzato dal punto di vista della frode nonché denominato “diesel gate” negli USA ma quello che meno emerge sono le possibili implicazioni che un aggravamento o un allargamento ad altre case automobilistiche potrebbe arrecare all’intero del comparto automotive. Un evento a cui non manca già l’accostamento con Lehman Brothers, non tanto perché Volkswagen sia sull’orlo del fallimento bensì per la reazione a catena che potrebbe generarsi all’interno del settore e che potrebbe avere similari effetti destabilizzanti nei mercati finanziari. A ben guardare l’impressionante e miliardaria multa stimata sarebbe indubbiamente un colpo al cuore inflitto dall’amministrazione USA ai tedeschi ma potrebbe equivalere più o meno al guadagno annuale che produce l’azienda. La società di fatto avevo chiuso il 2014 con dati record sia di utili, superiori ai 13 miliardi e sia di fatturato con oltre 200 miliardi, un qualcosa di così enorme da ricordare il PIL di alcune nazione, quali ad esempio Irlanda o Grecia. Il caso Volkswagen non è perciò da sottovalutare e per chi non crede alle casualità e semmai ricorda ancora il 2008 dovrebbe rammentarsi le ‘strane’ vicende che il titolo subì durante quel drammatico autunno, con incredibili speculazioni che fecero prima scendere il titolo fino a 210 e poi decollare all’incredibile prezzo di 1005 euro in poche sedute, portando per alcune ore l’azienda a diventare la prima società al mondo per capitalizzazione, prima di ricadere paurosamente e concludere la vicenda con il suicidio del magnate tedesco Adolf Merckle.

SHOCK DALL’INDUSTRIA ?

Da fine agosto ad oggi abbiamo assistito al più significativo declino simultaneo e globale dei mercati azionari dal dopo crollo del 2008 eppure, per la maggior parte degli operatori e con essi molti risparmiatori increduli nell’osservare quanto avviene ai propri investimenti, sembra che tutto ciò sia solo una semplice “sbandata” nel sicuro rettilineo creato dai banchieri centrali. A ben guardare sembra però che l’ormai pluriennale stampa monetaria post Lehman Brothers, in grado di sorreggere i mercati finanziari ed alimentare la più grande bolla del debito (privato, societario e pubblico) sia ormai in rotta di collisione con la dura realtà economica e produttiva, ovvero con ciò che doveva essere in grado di ripagare le cambiali “generosamente” offerte dai banchieri di mezzo mondo, ovvero una forte crescita. Quello che sembra manifestarsi è però il ritorno del boomerang lanciato dai banchieri centrali per salvare le banche nel 2008 e che ora, dopo essere transitato anche per gli Stati con relativo e più ampio rilancio tramite molteplici QE planetari, ritorna nuovamente al punto di partenza per il tramite di tante multinazionali indebitate fino al collo grazie all’enorme emissione di bond più o meno spazzatura elargiti a mani basse grazie al denaro facile ed a basso costo delle banche centrali. Aspetto quest’ultimo che non solo ha alimentato flussi di carta finanziaria a gogò ma ha pure sostenuto i buyback ‘monster’ finora osservati nelle big corporation.

Un segnale di ritorno che sembra proprio arrivare dalle azioni della stessa BCE, ovvero dalla temporanea sospensione nell’acquisto di Abs garantiti da titoli Volkswagen, ossia quel tipo di titoli cartolarizzati che tanti danni arrecarono nel 2008 ma che allora furono emessi dalle banche.

GLENCORE E PETROBRAS

Il ritorno sembra quindi prossimo ed i campanelli in questi giorni si moltiplicano sempre in attività chiave per l’economia reale, quali le aziende petrolifere e quelle minerarie. Ed è proprio da un’altra “big” di tutt’altro settore che arriva un ulteriore ed importante segnale di alert, ovverosia da Glencore. Una multinazionale anglo-svizzera che più di altre società minerarie soffre il calo delle commodities e che da sola rappresenta ad esempio circa metà del commercio mondiale di zinco e rame. Una realtà che per diversi operatori finanziari è considerata a dir poco rilevante nel suo settore ed in quello del trading sulle commodity, non fosse altro per il suo ruolo e la sua capacità di influenzarne direttamente i prezzi con la gestione dell’offerta reale. Il fatto che il suo andamento inizi ad allarmare diversi operatori, in primis Goldman Sachs, non è da sottovalutare in quanto se Glencore fosse declassata a livello “spazzatura” e perdesse lo status di “investment grade” potrebbe creare problemi non indifferenti ai collaterali finanziari che puntellano le migliaia di miliardi di derivati circolanti nel mercato. Un rischio considerato similare al downgrade di AIG nel 2008 e che per la cronaca culminò con il piano di salvataggio della compagnia di assicurazioni da parte del governo americano. Al momento i famigerati credit default swap segnalano rischi in aumento e l’andamento delle quotazioni non rasserena gli animi degli operatori.

Oltre a ciò poi non mancano altri focolai quali l’andamento di un altro big dell’economia reale quale Petrobas, il gigante del petrolio brasiliano, l’omologo della nostra Eni. Un’altra azienda le cui sorti sembrano sempre più in balia delle quotazioni del petrolio e del dollaro americano, visto e considerato che il titolo è già stato declassato a spazzatura ed ha in pancia più di 2/3 del suo debito espresso in biglietti verdi, ovvero in una valuta che ha visto passare il cambio real/usd da 2,4 a quasi 4,2 real per dollaro in meno di un anno. Un fatto quest’ultimo che sta mettendo in ginocchio l’intero Brasile, insieme agli scandali politici che colpiscono il governo in carica e che ha portato negli ultimi giorni la banca centrale in trincea per tentare di fermarne il deprezzamento.

CONCLUSIONE

Un vecchio detto dice che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire ma osservando i grafici si potrebbe dire che non c’è peggior investitore di chi non vuol vedere quello che le quotazioni e l’andamento dei mercati stanno esprimendo, ovvero il concreto rischio che qualcosa di grosso possa far saltare nuovamente il coperchio di protezione finora messo in campo dalle banche centrali. A mal pensare, si potrebbe anche affermare che non c’è due senza tre, ovvero, dopo il pronto intervento dei banchieri centrali a sostegno delle banche e poi degli Stati, potrebbe arrivare anche il turno per le grandi corporation. Un intervento che però è sempre giunto dopo un opportuno e traumatico “shock”, un qualsivoglia evento in grado di far urlare agli investitori pietà e richiesta d’aiuto incondizionato ai banchieri. In un tale contesto può essere il caso di non farsi trovare impreparati o eccessivamente esposti ai rischi, pena il dover solo subirne i movimenti senza beneficiarne mai.

L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.