Voci da un workshop finanziario indipendente

Anche se non si è “addetti ai lavori” della finanza, col denaro abbiamo a che fare tutti, quindi quanto meno siamo tutti “addetti ai dolori”, se non altro di questi tempi. Così, pur non facendo pubblicità, sbirciamo dentro una stanzetta dove un sabato recentissimo s’è tenuto un workshop di consulenti finanziari indipendenti, a favore di un pubblico di non addetti ai lavori/dolori della finanza. Qualche cosa d’interessante potrebbe uscirne.

Nella prima parte dell’incontro, s’è parlato degli aspetti concreti e umorali che costituirono gli ingredienti ricorrenti delle molte crisi del passato, quell’humus che ne fertilizzò la deflagrazione. Quella dei “Tulipani” in Olanda, probabilmente la prima crisi documentata del capitalismo, la settecentesca “Bolla dei mari del Sud”, che vide protagonista l’omonima società che commerciava con il Sudamerica; poi ancora la grande depressione del ’29 e lo shock petrolifero degli anni ’70; quindi le crisi valutarie del ’92 con attacco a lira e sterlina, il “lunedì nero” e, venendo all’ultimo decennio, la bolla di internet, la crisi argentina e la bolla immobiliare dei sub-prime.

La connessione con l’attualità è venuta dall’analisi dei default dall’800 a oggi, che sono stati posti a confronto con i tre recenti di Argentina, Islanda e Grecia, essendo quest’ultima, a detta degli “addetti ai lavori”, tecnicamente “già fallita”.

In Argentina la tragedia cominciò quando venne fissato il cambio tra peso – la divisa argentina – e dollaro e poi, a distanza di tempo, ci si rese conto che non teneva. I rendimenti obbligazionari cominciarono ad aumentare e l’insostenibilità delle misure portò all’intervento del Fondo monetario internazionale: ci fu la svalutazione del peso e nel 2001 si giunse così a un default “necessario”.

L’Islanda è un esempio un po’ paradossale; date le dimensioni del Paese e la popolazione residente, addirittura una sorta di caso a parte. Vi si conduceva una vita su standard economici inarrivabili e lo Stato manteneva un indebitamento molto ridotto. Le banche invece, tutte privatizzate entro il 2003, avevano un indebitamento pari al 200% del Pil, debito che veniva portato in pancia da molti fondi comuni, polizze unit linked e altri strumenti di gestione di massa. Ecco che nel 2008, contestualmente alla crisi dei sub prime, le tre maggiori banche del Paese falliscono.

Intervengono Fmi e Bce che chiedono alla popolazione di rimettersi in carreggiata sborsando la bellezza di 3 mld di euro. Ne derivarono agitazioni di piazza (quasi ignorate dai media italiani) e un referendum nel quale i cittadini si rifiutarono di pagare i debiti delle banche; così l’Islanda dovette dichiarare bancarotta.

Infine la patata bollente più recente, la Grecia, che mostra inquietanti analogie con il caso argentino. Anzi, viene specificato nel workshop indipendente, su quasi tutti i parametri di osservazione la Grecia riporterebbe valori peggiori delle performance argentine, con il sospetto di un default non ancora ufficializzato, ma di fatto già conseguito.

Francia e Germania sono le economie nazionali maggiormente esposte e non a caso sono protagoniste di questo tira e molla per non rimanere con il proverbiale cerino in mano.

Le conseguenze degli errori finanziari possono essere nefaste, la storia è lì a dimostrarcelo, con casi che riguardano economie nazionali, banche, aziende, privati; basti citare altri esempi come Lehman Brothers, Alitalia, Parmalat o Mariella Burani. Diventa necessario alzare la soglia di attenzione e la capacità critica per non compromettere patrimoni e risparmi.

Il fatto è che, rispetto al passato, i prodotti finanziari sono oggi molto più numerosi, sofisticati, complessi da comprendere negli andamenti e poco spiegati dai mezzi d’informazione. Da un lato possiamo pensare a Bot e Cds (quelli delle Poste) contrapposti a Unit Linked o Index linked; se poi un tempo chi investiva in azioni al massimo si spingeva alle Generali, oggi geograficamente è normale parlare di Apple o altri titoli quotati dall’altra parte del pianeta.

A questi prodotti si aggiungono una folta schiera di altri e strutture che sono entrate nel lessico finanziario come fondi comuni d’investimento, derivati, hedge funds, trading on line, forex, certificates, ecc.

Gli “addetti ai lavori” sottolineano che in questo marasma si possono cogliere anche delle opportunità, risultati interessanti anche quando i mercati sono in calo, per limitare le eventuali perdite senza esporsi del tutto alle fluttuazioni incontrollate dei mercati.

Vanno considerati asset alternativi che consentano una reale diversificazione del portafoglio, come indici, commodities (quelle materie prime che per loro definizione avranno sempre più valore in futuro). Ma bisogna sapere come si può accedere a questi prodotti, con quali strumenti, su quali mercati e con quali importi; bisogna conoscere i meccanismi storici di formazione e trattazione del prezzo e la forte correlazione alla legge della domanda e dell’offerta che questi ambiti di investimento presentano.

Insomma la lezione è che non ci si può improvvisare più di tanto esperti di finanza, nei modi in cui pochi anni fa tutti s’erano un po’ illusi, quando sentivi parlare di azioni al bar, negli spogliatoi di calcio tra scapoli e sposati, vedevi capannelli di pensionati davanti ai monitor delle banche a commentare le performance di questo o quel titolo, come se la materia finanziaria si potesse maneggiare come una brioche e sorseggiare come un cappuccino.

La decisione su chi battezzare come proprio soggetto di fiducia per addentrarsi nei meandri degli investimenti finanziari la lasciamo ai lettori. Non sempre è facile saper distinguere tra gli “addetti ai lavori” e gli “addetti ai dolori”…

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