La riforma fiscale di Trump può trascinare al rialzo il prezzo dell’oro. E per gli investitori è arrivato il momento di diversificare il portafoglio, aumentando l’esposizione verso il metallo giallo e le azioni aurifere. E’ il parere di Joe Foster, gold strategist e portfolio manager di VanEck, che ritiene che l’unico modo per attenuare i rischi economici e finanziari consista nell’arrestare la crescita del debito pubblico degli Usa, aumentando la pressione fiscale o riducendo le spese. “Queste opzioni sono però politicamente improponibili e il deficit continuerà a salire, perlomeno fino a quando una crisi futura sarà sufficientemente grave da innescare un cambiamento” sottolinea Foster. Ecco le tre ragioni principali che a, a suo parere, porteranno a un incremento della quotazione del metallo prezioso, che attualmente oscilla intorno a 1.315 dollari l’oncia.
1) Peggiora il disavanzo di bilancio. La nuova legislazione fiscale negli Stati Uniti potrebbe gravare ulteriormente sul disavanzo pubblico, mettendo a repentaglio la stabilità economica e finanziaria del Paese. “Il ciclo economico ha raggiunto una fase troppo avanzata perché le agevolazioni fiscali possano sortire un effetto positivo duraturo. Inoltre, a fronte di un livello di indebitamento elevato come quello attuale, gli stimoli fiscali non possono che avere un impatto limitato”, sostiene Foster, che ritiene altamente probabili una flessione congiunturale e un netto ribasso dei mercati finanziari dal 2018 al 2019 compreso. Secondo l’esperto, gli investitori dovrebbero pertanto prendere in considerazione un’allocazione strategica nell’oro e nelle azioni aurifere come bene rifugio per il loro portafoglio.
2) Aumentano i rischi di una flessione congiunturale. I sostenitori della politica di sgravi fiscali sono dell’avviso che la crescita economica che ne consegue produrrebbe un incremento delle entrate statali. Foster è invece dell’avviso che la nuova normativa non sia stata concepita in modo adeguato poiché, a suo parere, è complicata quanto quella precedente, continua a essere impopolare e contiene molte disposizioni che giungeranno a scadenza nel 2025. “Per di più, le agevolazioni fiscali alle imprese arrivano in un momento in cui gli utili societari sono elevati e i crediti sono accessibili a prezzi convenienti. Se le aziende fossero propense a investire di più nella costituzione di capitale lo avrebbero già fatto”, spiega l’esperto. Il capitale disponibile è invece stato utilizzato per riacquisti azionari o distribuzioni di dividendi. Le ripercussioni negative sul piano fiscale della riforma dovrebbero pertanto prevalere: il Joint Committee on Taxation (JCT) stima che l’ammanco di introiti statali nei prossimi dieci anni sarà pari a circa 1,5 trilioni di dollari Usa.
3) Cresce il debito pubblico . Il ministero delle Finanze statunitense ha comunicato a ottobre che il deficit di bilancio nel 2017 era salito del 14% raggiungendo quota 666 miliardi di dollari, che equivale al 3,3% del prodotto interno lordo (pil). Il debito pubblico statunitense, che ammonta a 16 trilioni di dollari, è pari all’85% del pil. E Jason Furman, economista presso la Harvard University, prevede che entro il 2028 raggiungerà il 98% del pil. Secondo il Congressional budget office, nel 2027 le spese per interessi rappresenteranno il 15% degli introiti federali statunitensi. “Venendo a mancare gli stimoli congiunturali, la nuova legislazione fiscale non farà altro che aumentare il monte debito”, conclude Foster. Il debito complessivo statunitense ammonta attualmente a 47 trilioni di dollari Usa, una cifra pari al 250% del pil. Il livello del debito supera pertanto di 25 punti percentuali il massimo raggiunto durante l’ultima bolla creditizia. Grazie al regime di tassi bassi adottato dalle banche centrali, finora il rimborso del debito non presenta difficoltà. I tassi bassi hanno però costretto gli investitori ad assumere rischi più elevati per ottenere rendimenti accettabili. Un ulteriore effetto collaterale è a suo avviso la moltiplicazione delle cosiddette aziende “zombie” in Europa, le cui spese per interessi superano le entrate e che restano in vita soltanto grazie al sostegno delle banche, che andrebbero incontro a perdite nel caso di insolvenza delle imprese.
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