Unit linked, vantaggio per il risparmiatore o per la banca?

Appunti01Accresciuta pressione fiscale e timori sull’imposta di successione motivano boom di raccolta

L’ANALISI A guadagno sicuro del proponente corrisponde un risultato incerto ma certamente costoso a carico del ricevente l’offerta di polizza

Ad agosto, secondo Assogestioni, sono 12,7 i miliardi di euro confluiti nel cosiddetto risparmio gestito (fondi comuni, sicav, gpm ecc.), un dato che ha portato l’afflusso da inizio anno a quota 88,4 miliardi, picchi che non si vedevano dal lontano 1999 e che hanno permesso al patrimonio complessivo allocato in tali strumenti di oltrepassare la ragguardevole cifra dei 1.500 miliardi. Una corsa indubbiamente sostenuta dall’affannosa ricerca di rendimento e dalla difficoltà nel far da sé per conseguire un qualche reddito da capitale, considerato i tassi a zero e l’elevata pressione fiscale sulle rendite finanziarie. Quest’ultimo aspetto ha però generato, a partire dal 2012, l’inarrestabile boom delle polizze unit linked. Uno strumento appartenente ad un particolare ramo dei prodotti assicurativi e che, da tempo dimenticato dopo l’euforia di inizio 2000, è nuovamente tornato alla ribalta, rappresentando ad oggi una vera e propria manna per i bilanci di banche ed assicurazioni ma forse un pò meno per i risparmiatori.

COSA SONO? Le polizze unit linked sono assicurazioni il cui valore è collegato direttamente ad un’attività finanziaria ed in particolare a quello delle quote dei fondi in cui il capitale viene investito. Sono perciò assimilabili ad investimenti di tipo finanziario, seppur assoggettate alla disciplina giuridica delle polizze assicurative. Semplificando è una “sca -tola ” che ingloba altri contenitori (fondi) il cui rischio è sostanzialmente riconducibile agli stessi e ciò comporta che il capitale investito non sia garantito, bensì soggetto alle fluttuazioni dei mercati, a differenza delle più tradizionali polizze vita.

QUALE INTERESSE? Il miglior sponsor di questo strumento è involontariamente lo Stato italiano e questo a causa della repressione fiscale attuata negli ultimi anni. Un fatto che ne ha permesso la rinascita, grazie alle caratteristiche peculiari dei contratti assicurativi. In particolar modo, oltre ai consolidati aspetti di impignorabilità ed insequestrabilità (nei limiti previsti dalla normativa vigente), i cavalli di battaglia degli intermediari, sono ora più legati ai vantaggi successori e di convenienza fiscale. Non sarà un caso perciò se, dopo la reintroduzione dell’imposta di successione nel 2006, si sia interrotto il rigor mortis che affliggeva tali prodotti ed ancor più, dopo la repressione fiscale avviata nel 2012 sulle rendite finanziarie, si sia assistito ad un diretta correlazione tra maggiore raccolta e progressivo aumento della tassazione.

VANTAGGI SUCCESSORI I contratti assicurativi, grazie alla scelta libera dei beneficiari di polizza, anche al di fuori dell’asse ereditario, sono storicamente utilizzati, insieme ad altri strumenti quali i patti di famiglia, i trust ecc., per ottimizzare il passaggio generazionale dei patrimoni, al fine di minimizzarne il costo di successione e pianificare una corretta ripartizione tra gli eredi. Da quando esistono, hanno prevalentemente riguardato i grandi patrimoni (private insurance) ma grazie alla reintroduzione della tassa di successione, nonché al timore di un abbassamento della soglia d’esenzione e di un deciso inasprimento delle aliquote da parte del legislatore, oggi e con l’attuale normativa, rappresentano un vantaggio riscontrabile in poche alternative d’investimento (esempio nei titoli di Stato italiani) e dunque stanno riscuotendo adesioni anche tra i piccoli risparmiatori.

VANTAGGI FISCALI I benefici principalmente decantati sono la posticipazione del pagamento delle imposte sul capital gain e del bollo al momento del riscatto (parziale o totale) di tale strumento, in quanto il calcolo e il pagamento delle imposte è rimandato al momento dell’in -casso del capitale. Un fatto che consente di non subire sforbiciate fiscali nei rendimenti fino alla scadenza, consentendone una migliore capitalizzazione del rendimento lordo. Dal 2012, essendo la tassazione sulle plusvalenze passata dal 12,50% al 20% ed ora al 26% e l’imposta di bollo dallo 0,1% allo 0,15% ed ora allo 0,20%, è conseguentemente aumentato l’appeal. Analogamente viene enfatizzata la possibilità di compensazione tra plus e minus derivanti dai differenti fondi esterni utilizzati all’interno di una unit linked, a differenza di quanto non accada in un classico dossier amministrato.

UNA PANACEA? Per quanto sinteticamente esposto, sembrerebbe una succulenta occasione da cogliere, ma come insegna la fiaba di Biancaneve, dietro un’invitante mela potrebbe celarsi qualcosa di molto meno piacevole. E’ noto che il pasto gratis in finanza non esiste e per chi valuterà con attenzione non sarà difficile comprendere che l’invitante dono offerto, con sempre più insistenza da tanti intermediari, altro non è che una loro esigenza di redditività. Essendo la unit linked un involucro che ingloba altri contenitori per investire, risulta subito chiaro il problema: il denaro dei risparmiatori fa troppi passaggi (con i relativi costi) prima di arrivare all’invest imen to vero e proprio, nonché viene spesso accompagnato da spese accessorie ed aggiuntive in entrata e/o in uscita. E se i benefici non superano i costi, per quanto decantati siano, sarà difficile trarne reali soddisfazioni.

NOTE DOLENTI Quando si parla di queste polizze bisogna fare molta attenzione alle commissioni e quindi ai costi in capo al risparmiatore. Generalmente le voci di costo principali sono suddivisibili in: * Caricamenti iniziali, ovvero una commissione percentuale che varia in genere dal 2% all’ 8%, sul premio versato e definibile come una sorta di commissione d’ingresso. Un costo spesso mal digerito dal risparmiatore e che ha portato molte compagnie a favorire l’opzione a tunnel d’uscita. Un escamotage commerciale che garantisce una fedeltà pluriennale al prodotto, essendo applicato un balzello similare in caso di uscita anticipata ma con la possibilità di annullamento dello stesso (in genere dopo un lustro), tramite un scaletta decrescente rispetto agli anni di permanenza. * Copertura assicurativa, un’altro prelievo per la cosiddetta copertura “Caso Morte ”, che varia in funzione dell’età dell’assicurato e generalmente non supera lo 0,5% dell’ammontare in polizza. * Commissioni di gestione della compagnia, ossia la spesa annua imputabile alla mera selezione e controllo dei vari fondi inseriti in polizza. In base al profilo ed alle diverse classi può essere compresa tra 0,5% e 2,5%. * Commissioni di gestione dei singoli fondi, riassumibili nel cosiddetto TER (Total Expence Ratio), anch’essi compresi tra alcuni decimali o interi punti percentuali, in base alla classe ed alla tipologia di fondo. Tali spese sono in parte ridotte dal cosiddetto “reb ates” all’impresa assicurativa, la quale riconosce tali utilità al cliente sottoforma di quote a g g i unt ive ( i n g e ne re i l 35-50% della commissione di gestione del fondo). Sommariamente è possibile affermare che la sola spesa ricorrente annuale è difficilmente inferiore al 3%, a cui sono potenzialmente sommabili i costi d’ingresso/uscita.

QUALE RENDIMENTO ? Essendo polizze esplicitamente finanziarie, risulta quindi imprescindibile porsi alcune domande. Considerando il fatto che a) tutte le attività a breve termine rendono lo zero virgola b) per un 2-3% è ormai necessario acquistare obbligazioni di paesi altamente indebitati e su scadenze a 10-15 anni come l’Italia c) i principali mercati azionari sono sui massimi storici ed il rapporto dividendo/prezzo è bassissimo (dividend yield S&P500 a 1,89%), come potranno mai dare adeguate soddisfazioni finanziarie al netto dei costi ? Il lettore che vorrà far di conto, potrà facilmente comprendere che, se volesse “semplicemente” tentare di battere un’inflazione ipotetica dell’1-1,5% su di un orizzonte temporale quinquennale, dovrebbe conseguire tassi di rendimento annuali prossimi al 5-7%, al fine di coprire i costi di gestione, i potenziali tunnel di uscita, la tassazione ed i bolli (seppur posticipati). Evidentemente questo presuppone un grado di rischio alquanto elevato ed il cui esito finale potrebbe non essere quello auspicato.

SCOMMESSA SFAVOREVOLE La tabella dell’Ania, riferita ai rendimenti medi lordi, conseguiti dall’offerta italiana delle polizze unit linked nei 5 anni precedenti gli ultimi 3, può aiutare a capire. Osservando un periodo temporale statisticamente significativo (essendo incluso il crollo Lehman e relativo recupero), appare da subito evidente come uno strumento così costoso renda eccessivamente sbilanciato il rapporto rischio/rendimento e costo/beneficio per poter essere razionalmente accettato, a meno che non vi sia l’assunzione di rischi azionari elevati, la presunzione di un ulteriore rally pluriennale ed infine il personale auspicio di passar a miglior vita per massimizzare il capitale finanziario da devolvere esentasse agli eredi.

IN CONCLUSIONE Le unit linked sono classici prodotti da budget degli intermediari finanziari, in quanto garantiscono notevoli commissioni a chi le colloca ed a chi le confeziona e in una fase di bassi rendimenti, vale spesso e molto più il detto: “ogni euro risparmiato è un euro guadagnato”, per di più senza dover correre inutili ed eccessivi rischi per tentare di realizzare un rendimento decente al netto di tutti i caricamenti eventualmente subiti. Come purtroppo continua ad accadere, a guadagno sicuro del proponente, corrisponde un risultato incerto ma certamente costoso a carico del ricevente l’offerta.

L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

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