Ubp, ecco perché l’oro non sale nonostante i timori sui dazi – Roberta Castellarin

 In ques’estate dominata dal tema dei dazi l’oro non riesce a svolgere la sua funzione di bene rifugio. Un’analisi di Névine Pollini, Equity Analyst di Union Bancaire Privée (Ubp) ne spiega le ragioni. Pollini ricorda che malgrado la predominante incertezza circa la possibilità di una guerra commerciale che potrebbe inasprirsi, sollevando turbolenze significative e danneggiando i mercati finanziari, l’oro è stato sotto pressione da metà giugno. Il metallo giallo, infatti, non sta assolutamente agendo da bene rifugio come invece dovrebbe fare in tempi di incertezza politica ed economica. “Il motivo alla base di questo trend è il fatto che le attuali misure protezionistiche sono messe in ombra da preoccupazioni relative a tassi in rialzo a livello globale in risposta allo slancio della crescita che, seppur moderato, è ancora in aumento”, dice Pollini.

Secondo Pollini l’oro è stato tenuto a freno anche dall’allentamento delle tensioni geopolitiche, con Trump e Kim Jong-un che hanno firmato un accordo per la totale denuclearizzazione della Corea del Nord.

L’esperto di Ubp ricorda che, tornando all’economia, gran parte dei dati suggerisce che l’attività statunitense sta ancora centrando tutti i suoi obiettivi, sulla scia di un mercato del lavoro più forte (il tasso di disoccupazione di recente è calato ai suoi minimi dal 2000), della riforma fiscale di Trump e degli stimoli fiscali. Il Pce core (l’indice dei prezzi basato sulla spesa al consumo personale), indicatore privilegiato dalla Fed per misurare l’inflazione perché meno soggetto a forti oscillazioni, ha raggiunto per la prima volta in sei anni il target del 2%, suggerendo la possibilità di più di un rialzo per quest’anno. I futures sui Fed Funds stanno ormai scontando una probabilità del 75% di un rialzo a settembre e di un altro a dicembre. Tutte queste statistiche positive, insieme all’indicazione della Bce di voler lasciare più a lungo del previsto i tassi di interesse europei invariati, hanno spinto il dollaro a salire a un massimo da undici mesi, lasciando così l’oro senza alcuna possibilità. “Un’ulteriore spinta al dollaro proviene dall’instabilità politica in Germania, con il conflitto sempre più acceso tra il Cdu e il Csu circa un controllo più rigido delle frontiere per frenare l’afflusso di richiedenti asilo. Il prezzo dell’oro è infatti sceso a 1.237 dollari, il livello più basso da dicembre 2017”, dice Pollini.

A pesare sull’oro, poi, c’è anche un significativo rallentamento della domanda fisica. “La richiesta ridotta di metallo giallo da parte della Cina, il più grande consumatore di oro al mondo, è dovuta alla svalutazione dello yuan in risposta allo stallo commerciale del Paese con gli Stati Uniti e a dati cinesi deludenti che hanno sollevato timori di un rallentamento. L’oro è stato anche colpito negativamente dai deflussi dagli ETf. Le posizioni sull’oro del fondo Spdr Gold Etf sono ormai ai minimi da agosto 2017, il che mostra una totale assenza di interesse per il metallo giallo da parte degli investitori”, aggiunge Pollini.

L’esperto di Upb continua: “A nostro avviso l’oro potrebbe continuare il suo trend al ribasso qualora si dovesse raggiungere un accordo commerciale prima che il conflitto si intensifichi trasformandosi in una disputa più accesa e più dannosa; sappiamo che il presidente Trump ha dei precedenti nel prendere posizioni estreme per poi muoversi invece in direzione di una negoziazione, per cui potrebbe accettare un compromesso dell’ultimo minuto. Manteniamo pertanto un outlook prudente sull’oro, che secondo noi nei prossimi mesi rimarrà probabilmente in un range tra i 1.200 e i 1.300 dollari”.

Pollini, però, sottolinea: “Tuttavia, non crediamo che il metallo giallo debba essere completamente evitato: questo infatti potrebbe ricevere una spinta da un rimbalzo tecnico, con gli asiatici che, in cerca di occasioni, potrebbero riapparire una volta che avranno la sensazione che questo metallo prezioso avrà toccato veramente il fondo. Inoltre, inaspettatamente, malgrado i dati statunitensi robusti e la recente impennata del dollaro, i rendimenti Usa hanno riportato un calo”. Conclude Pollini: “Questo trend probabilmente riflette le previsioni di un incremento dei tassi della Fed meno aggressivo delle attese che si potrebbe verificare qualora la guerra commerciale dovesse risultare peggiore del previsto; ciò potrebbe porre fine al declino dell’oro”.

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