L’ANALISI: secondo il premio nobel Robert Shiller l’equo valore dei listini USA è più basso del 30%
Per Bill Gross è ora di andare ‘cash’ e serve forte aggiustamento nella finanza
Agosto si è da poco concluso ed è ormai stato archiviato come un pessimo mese per i mercati finanziari globali e questo a seguito anche del “black Monday” di lunedì 24 agosto, giorno dal quale è riapparsa prepotentemente una volatilità estrema che ha prodotto effetti assai negativi su numerose asset class d’investimento ed il cui riverbero prosegue a tuttora.
Osservando la tabella allegata appare evidente come pochissimi investimenti siano stati in grado di reggere l’urto del ‘sell off’ globale nonché archiviare il mese con rendimenti superiori ad un punto percentuale in valuta locale, ovvero l’oro, la Russia ed il petrolio. Quest’ultimo però solo grazie ad un recupero a dire poco prodigioso, avvenuto nelle ultime 72 ore del mese (chiuso attorno a $ 49) e dopo un verticale tracollo dai $ 47 al barile di fine luglio ai $ 38 del lunedì nero.
DRAWDOWN PESANTI
Non è stato perciò un buon rientro dalle ferie per molti risparmiatori, a maggior ragione se si considera che proprio da inizio anno erano decisamente aumentati i flussi di denaro verso attività d’investimento a maggior rischio, in primis le azioni ma anche in strumenti (fondi, polizze, gestoni ecc.) in cui la quota dedicata ad asset rischiosi è stata in costante aumento. Per molti piccoli investitori non sarà perciò difficile constatare come le scelte fatte o suggerite negli ultimi mesi siano risultate a dir poco deludenti. Un risultato che appare lapalissiano nei mercati azionari principali ed evidente nella discesa finora realizzata rispetto ai top raggiunti nel primo semestre (drawdown). Risultati passati ad esempio dal +60% al -2,3% della Cina o dal +25,5% al -0,2% della Germania o dall’apparente e più “modesto” +3,5% dello S&P500 all’attuale -6,7%. Una débâcle che finora si è tentato di arginare con molteplici esternazioni da parte dei banchieri centrali, non ultimo l’intervento di Draghi e la sua apertura ad un possibile prolungamento o aumento del QE, oltre settembre 2016.
SETTEMBRE DI PASSIONE
Da qui all’autunno 2016 potrebbe però valere di più il proverbio “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” piuttosto che le parole del presidente della BCE, non fosse altro perché il corrente mese potrebbe prolungare la volatilità o forse la passione dei mercati. A settembre possiamo infatti associare eventi estremi che hanno rappresentato la successiva capitolazione dei mercati, quali il fallimento di Lehman Brothers avvenuto il 15 settembre di 7 anni fa o ancor 7 anni prima il tragico attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York. Eventi e numeri che per alcuni investitori incamerano un significato quasi mistico ma che, seppur nella loro estremità, non hanno fatto altro che contribuire alla negatività statistica associata a questo mese. Analizzando infatti l’andamento mensile del mercato USA dal 1920 ad oggi è possibile notare come lo S&P 500 sia sceso più volte (47) di quanto sia salito (39), rendendolo così il mese più debole dell’anno. Una negatività che appare evidente non solo nel listino americano ma ricorrente nell’insieme del mercato azionario globale.
Si tratta dunque di un andamento stagionale ben documentato che mostra, secondo i dati di Yardeni Research, una diminuzione media mensile del -4,8% per le sole 500 aziende USA principali. L’effetto ‘settembre’ non può però essere l’unica ragione per la quale gli investitori devono rimanere prudenti, bensì e tuttalpiù essere una semplice avvertenza.
SEGNALI DI PERICOLO
Detto questo e dopo i crolli di agosto, potrebbe perciò essere ancora necessario una buona dose di cautela per gli investitori. A ben guardare i segnali di alert ormai abbondano sia tra gli operatori finanziari e sia tra i policy maker e ciò nonostante l’ottimismo di facciata mascherato dietro a frasi del tipo “la ripresa resta moderata” oppure “un rallentamento delle economie emergenti e una debole ripresa nelle economie avanzate”. Frasi, queste ultime, con cui il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le stime della crescita mondiale e dopo le quali sono giunte quelle di Mario Draghi con previsioni peggiorative sul PIL e sull’inflazione nell’Eurozona. Un peggioramento che arriva a distanza di soli sei mesi dall’avvio del taumaturgico QE e che si aggiungono ai vari indicatori recessivi che emergono o conclamano situazioni in deterioramento più o meno verticale, quale la drammatica situazione del Brasile o l’ingresso in recessione “tecnica” (ovvero due trimestri di PIL negativi) del Canada. Tutto ciò senza voler scomodare il bersaglio attualmente preferito dai media, ovvero la Cina ed il suo rallentamento, quale causa di ogni male attuale. Il paese più chiacchierato anche al vertice del G20 dei ministri finanziari tenutosi in Turchia nel weekend e da cui non sembra essere emerso un reale allineamento tra BRICS, Occidente e prossime politiche monetarie della FED. Una distanza che in molti leggono anche nella muscolosa parata celebrativa mostrata dalla Cina in occasione dei 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale.
‘TIPPING & TURNING POINT’
A ben osservare il mese da poco iniziato sembra aver sempre più le caratteristiche di un periodo in cui le precedenti statistiche hanno poco a che spartire con ciò che accadrà realmente. Secondo Marc Faber siamo ad un “tipping point”, ovvero un momento o un livello oltre il quale un cambiamento diviene inevitabile e può portare ad un “turning point”, ovvero ad un mutamento deciso.
Sicuramente i più vedranno nel meeting della FED del 16 e 17 settembre il momento topico del mese, ovvero quando la Yellen sentenzierà o meno l’aumento dei tassi. Oltre a ciò non bisogna dimenticare che sempre nel corrente mese vi sono altri importanti eventi che maturano guarda caso dopo le decisioni della FED, ovvero le elezioni anticipate in Grecia e fissate per il 20 settembre e la scadenza di una sostanziosa tranche di debito ucraino il 23. Questi ultimi due elementi sembrano essersi evaporati dalle notizie principali dei media ma hanno ovviamente potenziali ripercussioni per i mercati. L’esito sempre più incerto a cui sembra essere destinato Tsipras potrebbe aprire di fatto a nuovi colpi di scena nella tragedia greca mentre per l’Ucraina non è da escludersi che alla prossima scadenza vi siano inattese sorprese essendo l’accordo finora trovato a parole dal governo di Kiev solo con l’Occidente e non con la Russia (il cui prestito scadrà ufficialmente il 20 dicembre). Infine e come nell’estate 2013, vi è nuovamente un’ulteriore escalation nello Yemen che vede da una parte sempre più coinvolta l’Arabia Saudita, ovvero il partner strategico americano in Medio Oriente e Putin nei confronti del presidente siriano Bashar al-Assad.
CONCLUSIONE
L’attuale contesto sembra perciò fin troppo pieno di incognite ed i rischi al ribasso per i mercati appaiono essere notevoli e di ampia portata, almeno stando a quanto dichiarato da Robert Shiller, professore di Yale e premio nobel per l’economia. Secondo i parametri che lo hanno reso celebre nel mondo con il suo Shiller’s CAPE Ratio, gli indici americani S&P500 e Dow Jones sarebbero molto sopravvalutati e dovrebbero arrivare a 1.300 ed a 11.000 punti per rientrare nelle medie storiche. Un crash che se realizzato comporterebbe un -30% dai valori attuali. Uno scenario che sembra andare a braccetto con quanto pubblicato nell’ultimo outlook mensile di Janus Capital a firma Bill Gross e che forse fornisce il miglior consiglio al lettore quando cita la battuta attribuita al comico Will Rogers e successiva al crollo di Wall Street del ’29 ovvero: “non essere preoccupato dai ritorni dei propri investimenti, ma dal fatto che non tornino più indietro”.
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