L’ANALISI Dal dopoguerra ad oggi, solo due eventi hanno condizionato a medio termine il listino americano.
Tensioni geopolitiche come potenziali catalizzatori dei mercati finanziari
La crisi ucraina ed il conflitto israeliano-palestinese anticipano l’inevitabile “redde rationem”
Nell’ultima uscita della rubrica, prima della pausa estiva e della ripresa a settembre, sembra essere diventata consuetudine riscontrare come i periodi estivi siano ormai diventati il momento più idoneo per riaccendere le tensioni geopolitiche e conseguentemente anche quelle finanziarie. Già l’estate scorsa, con il presunto o reale utilizzo di armi chimiche da parte del governo siriano era stata sfiorata l’escalation militare ed il conseguente cedimento dei mercati finanziari. Una situazione disinnescata per buona parte, proprio dalla decisa opposizione della Russia ad un “casus belli” che a molti osservatori riportava alla mente l’intervento in Iraq, a seguito della famosa e poi sonoramente smentita “pistola fumante” e dall’altra parte dalla FED, dell’allora Ben Bernanke, che fu “costretta” o forse “agevolata” dal contesto a smentire se stessa ad inizio settembre, decidendo a sorpresa l’inversione ad U sull’avvio del tapering pronosticato per quel mese. Oggi come allora, sembra ripresentarsi una situazione analoga ma con ancor più variabili di instabilità geopolitica in azione.
RISCHI GEOPOLITICI
L’abbattimento dell’aereo di linea malese in Ucraina, le sanzioni crescenti contro la Russia, l’invasione israeliana di Gaza, la ripresa dei combattimenti in Libia, le guerre civili in Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia, oltre alle insurrezioni islamiche in Nigeria e Mali, senza proseguire nei molteplici caos dell’Africa centrale o dei crescenti attriti nel Pacifico tra Cina, Giappone e le due Coree, sono solo alcune delle tensioni in corso, come descritto in un rapporto 2014 delle Nazioni Unite per i diritti umani. Tutto ciò non sembra però influenzare molto i mercati finanziari, in quanto il peso economico-finanziario dei paesi in cui vi è l’esplicita irrequietezza, sono considerati dagli operatori non realmente influenti sui mercati dei capitali, se non attraverso la sola variabile della produzione di petrolio. La tragedia del volo MH-17 potrebbe però segnare un momento cruciale, seppur esso non sia ancora stato colto interamente dagli esperti. Non bisogna infatti dimenticare un sinistro parallelo con il 1914, ovvero con l’uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, evento che sarebbe poi diventato il detonatore della tragica prima guerra mondiale. Seppur la storia non si ripeta mai nel medesimo modo, è interessante notare come anche allora i mercati azionari erano stati scarsamente interessati dall’assassinio e come riportava il Financial Time dell’epoca, non vi era alcuna prova di paura tra gli azionisti, peccato che poi ed a soli sei mesi di distanza, il Dow Jones era crollato del 35% ed era deflagrato il conflitto.
VENTI DI GUERRA
Senza allarmare nessuno ed auspicando esiti differenti ed una maggiore consapevolezza da parte degli attuali leader mondiali, è innegabile però che un tale evento possa rappresentare quella scintilla in grado di destabilizzare il sistema o addirittura secondo un recente video di propaganda filo-russo, visionabile su youtube e dal titolo “perchè la Russia non deve intervenire nel conflitto ucraino”, potrebbe celare un’esplicita volontà di escalation volta a coinvolgere la Russia sul suolo di un paese già virtualmente in bancarotta, qual è l’Ucraina, al fine di addossare a Putin le responsabilità della sua catastrofe economica, fino all’ipotesi di un America alla ricerca di un conflitto, come via d’uscita dai suoi problemi strutturali. E’ innegabile che, seppur ci vorranno ancora settimane per determinare con certezza le cause della tragedia del volo malese, già si odono “rombi di guerra” contro la Russia, a partire dal Presidente Obama ed a seguire dal Premier britannico Cameron, il quale sulle colonne del London Times, ha puntato immediatamente il dito contro Putin, chiedendo all’Europa una rottura con la Russia. Apparentemente quindi, l’Occidente (anglosassone) preferirebbe la frattura tra l’Unione Europea e la Russia e più precisamente tra Berlino e Mosca per ovvie ragioni economico-finanziarie. Un fatto ulteriormente confermato anche dalle accresciute tensioni tra Germania ed USA, a seguito della cacciata dal territorio tedesco di alcune spie americane, accusate di intercettazioni nei confronti della cancelliera Merkel.
POSSIBILI EFFETTI
Escludendo per il momento gli scenari apocalittici, può risultare interessante per gli investitori analizzare le tensioni geopolitiche post guerre mondiali e dagli anni ’50 ad oggi. Come evidente dai grafici allegati e ripresi dall’ultima newsletter “outside the box” di John Mauldin, quello che emerge è che in genere gli scontri militari non hanno avuto un impatto a medio termine duraturo sulle quotazioni del mercato azionario USA. Alla prova dei fatti ed analizzando l’andamento dei dodici mesi precedenti e dei ventiquattro successivi all’avvio delle ostilità (a partire dalla guerra in Korea fino a giorni nostri), tale evidenza ha retto, fatta eccezione per due eventi quali l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nell’agosto del 1968 e la guerra arabo-israeliano nell’ottobre del 1973. Tali episodi portarono e mantennero in negativo il mercato azionario anche a distanza di due anni dalla loro deflagrazione. Entrambi i casi però ricordano l’attuale contesto e perciò potrebbero rappresentare un possibile riferimento per meglio ponderare i rischi impliciti nelle personali allocazioni dei propri investimenti.
CONCLUSIONE
Finora nel 2014 gli investitori hanno beneficiato ovunque di una volatilità contenuta, il che ha consentito alle azioni ed alle obbligazioni di registrare un discreto andamento. La domanda a cui i risparmiatori dovrebbero porre però sempre più attenzione, considerando il punto in cui siamo arrivati è: quanta pace e tranquillità possiamo ancora aspettarci o permetterci ? Il contesto geopolitico ha subito un innegabile deterioramento a causa delle costanti tensioni tra la Russia e l’Ucraina nonché dai timori che arrivano da Israele e Gaza o dall’Iraq e la Siria, senza considerare le recenti notizie economico-finanziarie provenienti dal rallentamento della locomotiva tedesca, come certificato dalla Bundesbank o indiretti e più generali come evidenziato dai deludenti dati del Baltic Dry Index (indicatore del traffico cargo) o dal costante calo nelle vendite a livello globale di Caterpillar, il principale produttore di macchine per edilizia e industria. E poi, non dimentichiamo il caso del sistema bancario portoghese, in quanto l’Espirito Santo, ha riportato a galla quella fragilità ancora presente nel sistema bancario europeo e sul quale i mercati attendono, per ora pazientemente, un quadro più chiaro e completo dello stato di salute delle banche continentali, tramite l’esito degli stress test della BCE, programmati per fine anno. E per finire, in questo complicato puzzle, la FED si trova in un momento molto delicato, dove molto probabilmente dovrà comunicare al mercato l’intenzione di alzare i tassi prima del tempo. La sensazione è dunque quella di essere prossimi alla “redde rationem”, ovvero a quell’ineludibile conclusione in cui si è obbligati a fare i conti, senza possibilità di proroghe o ritardi. Non ci sono dunque risposte facili per i risparmiatori, bisognerà esercitare selettività e flessibilità, diversificando saggiamente e con la consapevolezza di dover abbassare sensibilmente le aspettative di performance future ed aumentare quelle inerenti la volatilità dei propri investimenti.
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