L’ANALISI: liquidità azzerata, obbligazioni a tassi irrisori ed azioni ai massimi anticipano volatilità
La tesi per cui “il maggior rischio è non rischiare” è un inganno che porterà ad ingenti perdite
L’investimento è come noto il procedimento con cui ognuno di noi sposta nel tempo le disponibilità che ha, rinunciando a spenderle oggi, in vista di un consumo futuro e questo in cambio di un maggior potere d’acquisto differito nel tempo, ovvero di un rendimento. Un rendimento che comunemente ricerca investendo in differenti strumenti (depositi di liquidità, obbligazioni, azioni, immobili, ecc.) sia in forma diretta che sottoforma di prodotti gestiti. L’investimento in quanto tale può essere perciò definito mediante alcuni parametri chiave, ovvero il rendimento, il rischio e l’orizzonte temporale. I rendimenti conseguibili sono per definizione la differenza tra quanto si investe e quanto si ottiene alla fine dell’investimento mentre il rischio comunemente inteso dal risparmiatore è la probabilità che il risultato finale sia molto diverso (in negativo) da quanto preventivato all’inizio mentre l’orizzonte temporale è la durata di tempo per la quale si spostano in avanti le proprie disponibilità.
ALLOCARE I RISPARMI
Il mix d’investimenti è invece conosciuto come asset allocation, ovvero la distribuzione dei risparmi disponibili fra i diversi investimenti (asset class) ed il risultato finanziario complessivo è dato dalla somma dei singoli rendimenti di ogni asset in rapporto al peso assegnato ed al rendimento atteso. Nel momento in cui si decide di investire si va però incontro ad una incertezza, ovvero al rischio che il rendimento ex ante previsto per i vari asset non venga a posteriori raggiunto. Gli investimenti più rischiosi sono quindi quelli in cui è più difficile prevedere il rendimento a priori e questo perché gli elementi che compongono il rendimento sono maggiormente soggetti a future variazioni di valore ed è così che in ambito finanziario l’investimento a maggior rischio è tipicamente identificato nell’azione, mentre quello a minor rischio è associato al titolo di Stato a breve durata (BOT) o al conto di deposito, mentre nel mezzo vi sono le diverse tipologie di obbligazioni.
SEMPLIFICARE I CALCOLI
Un’allocazione in macro categorie d’investimento semplici è facilmente riepilogabile nella tabella allegata e può fornire un utile supporto di analisi logica per una razionale identificazione del reale rendimento obiettivo in quanto consente alla mente di focalizzare meglio i risultati da attendersi in base alle stime dei futuri aumenti delle quotazioni e/o dei soli rendimenti effettivi dovuti ad interessi, cedole e dividendi. Un “gioco” di calcolo apparentemente facile che però nel togliere la componente di tassazione, ovvero dal 12,50% al 26%, l’eventuale Tobin Tax e l’imposta di bollo sui dossier pari allo 0,2% e poi ma non secondario, sottrarre anche i costi di intermediazione (in genere compresi tra 0,1% e 0,5%) o le commissioni di gestione dei prodotti (in genere comprese tra lo 0,5% ed il 2,5%) ed infine decurtare il tutto di un tasso d’inflazione banalmente uguale al target fissato dalle banche centrali, ossia un 2%, riserva non poche sorprese nell’attuale contesto di mercato.
EQUAZIONE POSSIBILE ?
Spesso il comune risparmiatore ipotizza un obiettivo pari a due o tre volte il tasso di inflazione scelto ma ciò risulterà alquanto difficile da generare al netto dei vari costi e questo perché, per ottenere un ipotetico 5% nominale servirebbe un rendimento lordo tra il 7% e l’8% sull’intero patrimonio. Un risultato difficilmente conseguibile alle attuali condizioni di mercato in quanto la liquidità è ormai a rendimento azzerato da tempo e le obbligazioni (senza accollarsi i rischi di cambio o del peggior credito) sono a rendimenti negativi fino a 5 anni in molti paesi dell’eurozona e comunque a tassi bassissimi anche su scadenze decennali, nonché a tassi irrisori su molte obbligazioni societarie investment grade. Appare quindi evidente che, salvo il voler mettere 2/3 dei propri risparmi in titoli High Yield, detti anche junk bond (obbligazioni spazzatura) o in debito societario e statale dei paesi emergenti, risulta impossibile avvicinarsi con tali asset all’obiettivo nonché esporrebbe a rilevanti rischi di cambio, essendo la maggior parte di tale debito espresso in una valuta (dollaro USA) che si è fortemente apprezzata dall’estate scorsa contro l’euro. L’ultima asset class, ovvero le azioni, sono ormai anch’esse a current yield davvero modesti (seppur superiore a molte obbligazioni) e la riprova arriva semplicemente dal principale mercato azionario mondiale, ossia l’indice S&P500, in quanto offre un dividendo ai prezzi correnti del 1,91%.
L’ILLUSIONE DEL RIALZO
Verrebbe da dire che è meglio mettere i soldi sotto il materasso e forse potrebbe non essere così sbagliato o rischioso se non vi fossero così tanti furti in appartamento e una crescente guerra al contante. Ecco perciò che in un tale contesto e davanti ad una scomoda verità è spesso più facile accettare una rassicurante bugia, ovvero quella del rialzo continuo dei prezzi delle azioni ed in parte delle obbligazioni per continuare a restare in ‘giostra’. Una bugia che per queste ultime non sembra neppure più avere le gambe, visto che a rendimenti zero o negativi anche il più sprovveduto dei risparmiatori non vuol investire e difficilmente è disposto a comprarsi titoli trentennali o greci o tripla C mentre per le azioni, seppur le gambe siano ormai corte da tempo, è molto più facile sentirsi rassicurati e continuare a rischiare nonostante la scomoda verità dei rialzi passati e questo perché il “trucco” è basato sulla stima degli utili futuri e quindi su previsioni e non su rendimenti certi a scadenza. Le illusorie e spesso errate previsioni su crescenti e maggiori utili futuri sono però sempre state alla base delle irrazionali salite azionarie, ovvero di quelle bolle che ciclicamente si sono generate come nel 2000 con le aziende internet, nel 2008 con il settore del credito ed oggi forse nel biotech e non solo ma i cui esiti finali sono sempre i medesimi.
CONCLUSIONE
Quello che dovrebbe apparire evidente da tali e logici ragionamenti è che la componente più “nobile” del rendimento finanziario, ovvero cedole e dividendi è talmente modesta (ai prezzi attuali) da riuscire a malapena a coprire i costi di una gestione professionale del risparmio e l’unico vero motore del futuro rendimento del portafoglio risiede ora nella speranza di un aumento perpetuo dei prezzi degli asset più rischiosi. Un aspetto da non trascurare nella scelta della propria allocazione dei risparmi e da ben comprendere quando ci si confronta con gli abituali referenti per gli investimenti. Il proseguimento della crescita dei corsi avviata dal marzo 2009 non appare più essere razionalmente sostenibile a lungo termine, bensì solo e semplicemente motivata da un azzardo morale generato dalle prolungate politiche di tassi zero e QE. Un azzardo che si basa sull’ipotesi che qualcun’altro dopo di noi sia semplicemente disposto a pagare un prezzo più alto per le azioni che oggi si comprano, nel più classico ed irrazionale schema delle bolle finanziarie. Uno schema sostenuto per ovvie ragione di interesse anche da coloro che generalmente dovrebbero aiutare ad allocare al meglio i risparmi, essendo loro stessi spesso intrappolati nelle pie illusioni dei rendimenti passati, nella fallacia tesi del “maggior rischio è non rischiare” ed in quella illusione creata dalle banche centrali che porta a dire “questa volta è diverso”, oltre al concetto meno aulico e legato al fatto che se il risparmiatore non investe non si guadagna più. Una evidente distorsione che presto o tardi, semmai a seguito di una inaspettata discontinuità derivante da eventi estremi endogeni o esogeni ai mercati finanziari, riporterà il sistema in un più sano equilibrio di premio al rischio ed il comune risparmiatore a pagare tutto il conto dell’azzardo fin qui creato e dovuto all’accettazione più o meno consapevole di una rassicurante bugia.
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