Il rilancio produttivo si fa con tante cose, alcune per nulla costose, come la riforma della giustizia e le varie liberalizzazioni del decreto “libera Italia”.
Ma si fa pure con investimenti, come è noto dai tempi della Grande Depressione, vinta anche con le dighe di Roosevelt e le autostrade di Hitler.
Però gli investimenti costano, come costa il rilancio dei consumi, e quindi cozzano contro il vincolo di bilancio, diventato ancora più stretto ora che si è scoperto un minor gettito tributario di 3,4 miliardi rispetto alla cifra attesa: allora, si tratta di un ennesimo “vorrei ma non posso?”.
Il Ministro Passera, il maggior protagonista del Decreto sviluppo, sembra convinto che si possa fare molto, a risorse invariate, solo mettendo ordine nei cantieri avviati, sveltendo le procedure, rendendo più facile il partenariato pubblico-privato, recuperando per il rotto della cuffia stanziamenti europei che stavamo perdendo per imperdonabili ritardi e poi attivando vari stimoli fiscali per gli investimenti privati.
È un deja vu che si ripete da parecchi anni. E tuttavia , è il caso di concedere un’apertura di credito a questo Governo, per tre motivi: per la diversa affidabilità delle persone; per il mutato contesto, che è diventato uno scenario da ultima spiaggia e spinge alla determinazione; e soprattutto perché i menzionati stimoli fiscali promettono di essere abbastanza efficaci. Si tratta di dare agevolazioni fiscali alle obbligazioni emesse dalle società concessionarie , di elevare dal 36 al 50% il bonus fiscale per le ristrutturazioni e di raddoppiare l’importo detraibile fino a 96.000 euro, di ridurre l’imposta di registro sulle case di valore fino a 200.000 euro, di esentare dall’Imu i nuovi immobili invenduti da tre anni, di ripristinare l’Iva ( più conveniente dell’imposta di registro) per cessioni e locazioni di nuove costruzioni.
Anche i Comuni dovrebbero essere stimolati a fare investimenti, sfruttando a tale scopo il credito d’imposta. Il pacchetto potrebbe essere ancora più efficace se le agevolazioni fossero a scadenza: non troppo ravvicinata, per consentire agli operatori economici di maturare le decisioni e per rispettare i tempi tecnici degli investimenti; ma non troppo lontana, per spingerli a muoversi presto.
Ma soprattutto serve dare un ruolo importante ai Comuni, perché è nella finanza locale che si trovano mille cantieri aperti o immediatamente attivabili. Si sa che il Patto di stabilità, che impedisce ai Comuni virtuosi di investire anche in presenza di risorse disponibili, è vissuto in periferia come una regola ingiusta e dissennata; e accanto alla forte stretta fiscale dell’Imu che scarica sui Comuni i malumori della gente, anche se parte dell’imposta va all’erario, spiega l’attuale clima ostile tra Stato ed enti locali. Concedere deroghe al Patto per immediati investimenti promette di essere una mossa opportuna ai fini della ripresa economica e anche della tenuta sociale.
A ben vedere, è quello che da varie parti in Italia si è chiesto all’Europa; purtroppo senza successo, a causa delle diffidenza dei paesi virtuosi verso spese di consumo camuffate da investimenti. All’interno, tutto dovrebbe essere più controllabile e governabile. E a proposito di Europa e di aiuto che potrebbe darci nella politica di rilancio, si è già scritto su queste colonne che la concreta prospettiva da perseguire in via immediata è quello dei project bond emessi dalla Banca europea degli investimenti a sostegno di progetti di interesse europeo ( tra cui varie reti di trasporto e comunicazione ubicate anche in Italia).
Non è la soluzione radicale degli eurobond a sostegno del debito pubblico, che avrebbe ben altro livello e impatto; ma, visto che i project bond non sono certo antagonisti agli eurobond, è bene ottenere subito il poco in attesa del tanto.
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